L’orgoglio della Fallaci e la rabbia dei conformisti
Con «La Rabbia e l’Orgoglio», poi pubblicato in volume dall’editore Rizzoli il 12 dicembre 2001, comincia la prima e finora unica polemica di portata nazionale su temi quali l’immigrazione, la crisi d’identità dell’Europa, i pericoli dell’islam e l’inconciliabilità dei suoi valori con i nostri.
Per la prima e finora ultima volta l’Italia può toccare con mano cosa sia il politicamente corretto e quali effetti abbia prodotto. È un dato di fatto che il problema del fondamentalismo islamico entri stabilmente nella discussione pubblica (meglio: popolare) solo con la Fallaci. Come si vede dalle prime reazioni, l’11 settembre, invece di stimolare riflessioni sulle motivazioni degli attentatori, rischiava di diventare un referendum sugli Stati Uniti: se l’erano meritata? Non se l’erano meritata? Era la giusta rivincita dei Paesi colonizzati dal dollaro e umiliati dalla presenza, talvolta considerata sacrilega, delle basi militari dei marines? La parola «islam» era utilizzata con la massima cautela e sempre accompagnata da distinguo piuttosto fumosi.
La Fallaci inoltre viola un santuario dei benpensanti: l’immigrazione incontrollata dai Paesi arabi. L’Italia, poco patriottica e poco orgogliosa della propria cultura, potrebbe essere travolta dalle forti rivendicazioni identitarie degli immigrati musulmani. Il concetto, introdotto ne «La Rabbia e l’Orgoglio», viene sviluppato ne La Forza della Ragione (Rizzoli, 2004) e ripreso in Oriana Fallaci intervista sé stessa L’Apocalisse (Rizzoli, 2004). L’immigrazione è un’invasione demografica auspicata dai Paesi arabi e realizzata con la fattiva collaborazione delle istituzioni di Bruxelles. L’Eurabia è una realtà. Le nostre città contengono altre città ove vige la sharia. Gli amministratori hanno già rinunciato a far valere la legge italiana nei quartieri ove la presenza musulmana è massiccia. L’integrazione è impossibile e neppure desiderata da molti immigrati che non credono nello stile di vita e nell’ordinamento laico della democrazia liberale. Aver espresso queste opinioni sarà sufficiente per marchiare la Fallaci come razzista e xenofoba in nome del multiculturalismo e della retorica sui «diseredati». Il dibattito pare centrato sulla condanna delle espressioni più colorite e controverse della Trilogia. Che non mancano, questo è vero. Ce n’è una realmente sconcertante nell’edizione francese de La Rabbia e l’Orgoglio, lo ammise la stessa Fallaci ne La Forza della Ragione: «Nell’Europa soggiogata il tema della fertilità islamica è un tabù che nessuno osa sfidare. Se ci provi, finisci dritto in tribunale per razzismo-xenofobia-blasfemia. Non a caso tra i capi d’accusa del processo che subii a Parigi v’era una frase (brutale, ne convengo, ma esatta) con cui m’ero tradotta in francese. Ils se multiplient comme les rats. Si riproducono come topi». Tuttavia concentrarsi sulla forma talvolta è un modo di evitare il confronto con la sostanza. Alcune argomentazioni della Fallaci possono non convincere, ad esempio la polemica volontà di ridurre al minimo il contributo della cultura musulmana nell’ambito del Mediterraneo si espone a scontate critiche accademiche. Accanto agli eccessi, in qualche caso, come l’ultimo citato, dettati dalla peculiare retorica del pamphlet, ci sono però numerosi temi di importanza cruciale, che toccano, anche in modo appunto «brutale», i nervi scoperti dell’epoca in cui viviamo. Raramente i numerosi critici della Fallaci entrano nel merito anche quando i fatti si incaricano di dimostrare loro che la scrittrice segnala problemi tragicamente concreti. Preferiscono ribattere sulle esagerazioni verbali e sulle questioni accessorie. È proprio questo che fa il politicamente corretto: spostare l’attenzione dalla realtà alle parole offrendo l’impressione infondata di fare cultura o addirittura politica. Oriana Fallaci, con la chiarezza delle sue posizioni, costringe invece a riflettere sul ruolo che l’Italia vuole assumere nel mondo e su cosa significhi essere italiani all’inizio del nuovo millennio. Domande tuttora in attesa di risposta.
La morte della Signora, nel 2006, ha sopito la polemica ma oggi… Oggi la cronaca riconduce proprio alle idee della Fallaci, a prescindere da quale opinione se ne abbia. La Turchia è sospesa tra Europa e Medio oriente. I curdi hanno combattuto valorosamente contro lo Stato islamico e rivendicano una terra. La pace in Afghanistan è in bilico. L’Egitto è destabilizzato. La Tunisia, anche. La Libia è divisa in tribù e non si sa chi detenga il potere. Nel frattempo è facile preda di gruppi legati allo Stato islamico. La tensione in Israele è altissima. Beirut è dilaniata dalle bombe. Gli emiri sono accusati di essere doppiogiochisti. La marea di migranti, tra cui molti profughi siriani in fuga dalla guerra, è inarrestabile. Di fronte al caos, vengono in mente ancora una volta le parole di Oriana Fallaci.
La democrazia non si può esportare né tanto meno regalare, diceva la Signora. Pur non essendo pacifista, e come potrebbe esserlo una ex partigiana, la Fallaci aveva espresso forti dubbi verso le guerre in Afghanistan e Iraq. Le riteneva destinate al successo immediato ma al fallimento nel lungo periodo. Temeva avrebbero innescato una crisi politico-militare che avrebbe condotto all’instabilità dell’intera regione. Questi concetti sono esposti per la prima volta sul Corriere della Sera, nell’articolo La rabbia, l’orgoglio e il dubbio, pubblicato il 14 marzo 2003. (A proposito, nonostante tutto la Fallaci, per motivi che appaiono misteriosi ai suoi veri lettori, passa per essere stata una guerrafondaia). Ancora più chiaramente in Oriana Fallaci intervista sé stessa, la scrittrice spiega il rischio insito nella avvenuta deposizione di Saddam Hussein: «Il prezzo per toglierlo di mezzo è stato troppo alto. Il terrorismo islamico si è moltiplicato, i morti hanno partorito altri morti, continuano a partorire morti, partoriranno sempre più morti (…) Prima o poi ci ritroveremo con una Repubblica Islamica dell’Iraq. Ossia con un Paese nel quale i mullah e gli imam impongono i burkah, lapidano le donne che vanno dal parrucchiere, impiccano la gente allo stadio». La democrazia non si può regalare come una stecca di cioccolato: «Per volerla bisogna sapere cos’è. Gli iracheni non lo sanno. Ancor meno la capiscono. E di conseguenza non la vogliono. Non tanto perché diseducati da ventiquattr’anni di dittatura feroce quanto perché sono mussulmani: assimilati dalla teocrazia e incapaci di scegliere il proprio destino». Nei Paesi arabi, la democrazia, anche nelle frange più moderne, è sempre accompagnata dall’aggettivo islamica: una democrazia regolata dalla sharia? Secondo la Fallaci è una contraddizione irrisolvibile.