Il doppio gioco di Macron
Come nei telefilm americani. Il poliziotto buono e poliziotto cattivo. Quello buono è il presidente francese Emmanuel Macron, che dice di appoggiare in pieno il Piano d’Azione delle Nazioni Unite per la Libia e di non vedere l’ora che da quelle parti scoppi la pace, tanto da invocare elezioni politiche entro il prossimo dicembre. Quello cattivo è il generale Khalifa Haftar, ex gerarca di Gheddafi, ex emissario della Cia, ora il gallo del pollaio libico grazie alle milizie inquadrate nel Lybian National Army, che si chiama “esercito nazionale” ma in realtà è un esercito privato.
Il poliziotto cattivo ha spiegato ieri a chiare lettere come bisogna interpretare le dichiarazioni del poliziotto buono Macron, quelle sulle elezioni. “Le elezioni vanno bene, anzi benissimo”, ha detto Haftar, “purché diano un risultato credibile. Altrimenti mi incaricherò di farle abortire”. Traduzione: se dalle elezioni uscirò vincitore e padrone del Paese, tutto ok. In caso contrario, farò intervenire il mio esercito. Per completare il cerchio facciamo notare un piccolo particolare: almeno dal 2015 quell’esercito è finanziato, armato e sostenuto dalla Francia. Allora era presidente Francois Hollande, che fu beccato a inviare aerei pieni di armi ad Haftar, che in caso di bisogno poteva anche rivolgersi alle forze speciali francesi, acquartierate nella base di Benina e ben liete di cavargli qualche castagna dal fuoco negli scontri con i jihadisti dell’Isis e gli altri gruppi armati.
È chiaro dunque il gioco del buon Macron. Dico che approvo il piano dell’Onu così faccio bella figura. Insisto perché si vada a votare subito così, nei fatti, taglio le radici allo stesso Piano dell’Onu, che prevede, tra l’altro, la convocazione di una conferenza nazionale libica, la stesura e l’approvazione di una nuova Costituzione e la stesura e l’approvazione di una nuova legge elettorale, cose ovviamente impossibili da ottenere entro dicembre. Per finire, scelgo come mio candidato il “cattivo, cioè Haftar, che fin d’ora mette le mani avanti sull’esito delle (alla maniera prevista dall’Onu, impossibili) elezioni.
Bisogna ricordare un’altra cosa. Nel maggio scorso, con una bizzarra iniziativa unilaterale (ma come, non c’è il piano d’Azione dell’Onu?), Macron convocò a Parigi una specie di conferenza delle parti in causa in Libia. C’era Haftar, ovviamente, e c’era Agila Saleh, presidente del Parlamento con sede a Tobruk, che la comunità internazionale non riconosce. E c’era Fayez Al Sarraj, capo del Consiglio presidenziale con sede a Tripoli, l’unica istituzione che, invece, la comunità internazionale riconosce come legittima.
La data era ben scelta perché l’Italia, che con l’assenso degli Usa e dei Paesi europei, aveva ottenuto un mandato informale come Paese guida nella crisi libica, era nel bel mezzo della crisi di governo, impossibilitata quindi a esprimere una posizione impegnativa. E nelle pieghe dei lavori, Macron cercò anche di far passare un piano in tredici punti (ma come, non c’è il piano di Azione dell’Onu?) che al punto dodici diceva testualmente: “La comunità internazionale riafferma la fiducia nelle istituzioni libiche” tra le quali era elencato anche il Lybian National Army, cioè l’esercito privato del generale Haftar, quello foraggiato dalla Francia. Una milizia elevata al rango di “istituzione”.
Il piano di Macron ha fatto poca strada. Lui mente bene ma non è che gli altri siano tutti fessi. Così, e guarda caso proprio tra il viaggio del premier Conte a Washington, dove Donald Trump gli ha proposto una “cabina di regia” italo-americana per la crisi libica, e la conferenza sulla Libia convocata a Roma in novembre, è scoppiata la crisi delle milizie, con l’assalto a Tripoli, qualche decina di morti perché il mondo si svegli e la pronta ritirata appena Haftar ha fatto la voce grossa. Come dire: l’unico che può mettere un po’ di ordine è lui. E infatti Macron è tornato a insistere perché si facciano le elezioni in dicembre. Ma i fan italiani di Macron davvero non vedono e non capiscono?