Di Maio si arrende sull’Ilva Verso l’accordo con Mittal
Nessun Piano B, nessun cavaliere bianco, né gare annullate. Per l’Ilva di Taranto il film era già scritto mesi fa e ora può andare in onda: il polo siderurgico passerà di mano alla cordata Am Investco, guidata dai franco indiani di Arcelor Mittal.
Il «bluff» del ministro Luigi Di Maio, che prospettava per il polo siderurgico una possibile riconversione (anche per accontentare le posizioni estreme dei grillini), si è dissolto definitivamente con l’incontro fiume andato in scena ieri al Mise. Chiamati tutti a raccolta, sindacati, commissari, azienda e acquirente hanno messo nero su bianco una bozza di accordo che definisce il passaggio del gruppo alla Am Investco. Immediate le reazioni politiche: «Chiusura, annullamento, delitto perfetto e tutte le altre roboanti dichiarazioni di Di Maio erano, come previsto, fumo negli occhi per chiudere, buono buono, con Mittal, addebitando ad altri le responsabilità del voltafaccia. Ottimo», ha twittato l’ex ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda (nella foto piccola, ndr).
Mittal ha prospettato l’assunzione a tempo indeterminato di 10.300 lavoratori: 10.100 entro il 31 dicembre 2018 e 200 entro il 31 dicembre 2021. Considerando che il totale dei lavoratori è di 13.522, resterebbero fuori al momento oltre 3200 persone. Esuberi che, nel 2023, Mittal si è detta però pronta ad assorbire. Un’opportunità che spetterà però solo a chi non abbia «già beneficiato di altre misure», come l’incentivo all’esodo, e non abbia «già ricevuto una proposta di assunzione presso un’affiliata». Insomma, tempi e modi sembra dettarli comunque Mittal, ma si tratta di quel «tutti dentro» a cui aspiravano i sindacati e, in qualche modo, anche il governo. «Le organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo – si legge ancora nella bozza – riconoscono la rilevanza dell’impegno assunto da Am Investco e a tale riguardo, considerati anche la maggiore occupazione conseguibile e la comune finalità di preservare la competitività dei complessi aziendali, si impegnano a raggiungere in buona fede con Am Investco e le affiliate, a fronte delle assunzioni dei dipendenti residui, specifiche intese comprese riduzioni dell’orario di lavoro che consentano costi del lavoro invariati». Una prospettiva che getterebbe, al momento, alcune ombre per i dipendenti: possibili richieste di trasferimento (in altre affiliate) e non escluderebbe qualche sacrificio per mantenere invariato il costo del lavoro. Dopo un primo giro di tavolo, tra le tante delegazioni presenti al Mise, le parti si sono riunite in un incontro ristretto per una trattativa a oltranza andata avanti nella notte. Sembra, però, essere stato raggiunto un punto fermo: spazzare via l’idea di nuove gare o di una nazionalizzazione, e su questo le parti hanno iniziato a lavorare incessantemente. In attesa della firma definitiva è probabile, dunque, che anche lo sciopero indetto dai sindacati con l’appoggio inedito di Confindustria – il prossimo 11 settembre vada verso la revoca. I prossimi giorni serviranno comunque alle parti per limare l’accordo, in particolare nei dettagli che riguardano i 3.200 lavoratori non assunti a tempo indeterminato, e a passare le chiavi del business tarantino al nuovo proprietario. IL GIORNALE.IT