Silvia Aisha Romano si è sposata con un amico d’infanzia: matrimonio con rito islamico e nuova vita fuori Milano per la cooperante rapita in Kenya
Si è sposata con un suo amico d’infanzia, ha lasciato Milano e la sua casa al Casoretto, quella dove era tornata dopo 18 mesi di sequestro, e si è trasferita appena fuori città. La vita va avanti e con tante novità per Silvia Romano, la 26enne cooperante milanese che era stata rapita in Kenya, dove si trovava per un progetto di volontariato, nel novembre 2018, rilasciata nel maggio 2020 in Somalia.
A raccontare a un anno di distanza dal rilascio la vita di Silvia Aisha Romano – questo il nome che ha scelto dopo essersi convertita all’Islam – è la Stampa. Si chiama Paolo e fa l’informatico, suo marito, un coetaneo amico d’infanzia, ritrovato dopo tanti anni in una delle moschee dove Silvia va a pregare dal suo ritorno: anche il ragazzo infatti aveva abbracciato l’Islam da diverso tempo e per questo l’amicizia si è presto trasformata in amore.
Il matrimonio è stato celebrato con rito islamico nell’ottobre scorso a Campegine, paesino dell’Emilia Romagna da dove proviene il marito. Ora la coppia vive in provincia di Milano, dopo che Silvia ha lasciato la casa della madre, al Casoretto, periferia est di Milano, proprio per l’esigenza della giovane di sottrarsi all’attenzione morbosa dei media sulla sua vita. Silvia risponde a chiunque la contatti che non ha ancora desiderio di parlare con la stampa della sua storia.
Quello che invece le garba molto è prestare servizio come volontaria, in totale anonimato, il più possibile lontano da chi vuole frugare nel suo privato e nella sua storia. Da un anno circa è entrata nel Progetto Aisha, associazione che si batte contro le discriminazioni e le violenze domestiche di cui restano vittime le donne islamiche. Un progetto della comunità musulmana milanese che ruota attorno alla moschea Mariam di via Padova, che la giovane frequenta dai giorni della sua liberazione.
Silvia Romano si è messa a disposizione anche come tutor e insegnante di sostegno per i ragazzi fragili che frequentano una scuola per mediatori linguistici, la stessa dove anche lei si era laureata prima della partenza per l’Africa. Segue in streaming alcuni ragazzi che devono preparare gli esami, ma cerca di venire il meno possibile a Milano per non essere riconosciuta.
La sua richiesta a chi la contatta tramite i familiari è sempre e solo quella di essere “dimenticata” e “lasciata in pace: voglio solo dimenticare e non riaprire la ferita”. Paolo, il suo giovane marito, le offre quella protezione e quella riservatezza che per Silvia ancora oggi, a un anno di distanza dal rilascio, sono le cose più importanti.