Le tre mosse decisive a casa: ecco come “respingere” il virus
L’evoluzione della malattia virale da Covid-19, comprese le varianti degli ultimi mesi, resta imprevedibile ed è diversa a seconda del sistema immunitario dei singoli pazienti.
L’infezione può risolversi in maniera veloce, come una semplice influenza stagionale, oppure procurare effetti gravi, che peggiorano fino alla morte dell’ammalato. Nel primo caso, i sintomi sono quelli comuni: febbre, tosse, mal di gola, nausea, perdita di gusto e olfatto. Nel secondo, subentrano problemi respiratori seri, con polmoniti e scarsa ossigenazione nel sangue. A un anno dall’esplosione della pandemia in tutto il mondo, però, qualche passo in avanti è stato fatto: oggi i medici, nella maggior parte dei casi, hanno la possibilità di riconoscere i pazienti a rischio. “Grazie al alcuni esami del sangue, alla Tac e alle caratteristiche del contagiato – ha dichiarato al quotidiano Il Giorno Antonella D’Arminio Monforte, direttore delle Malattie infettive nella Asst Santi Paolo e Carlo di Milano – siamo in grado di prevedere il decorso della malattia”.
Gli specialisti utilizzano quasi sempre gli antivirali, poiché l’obiettivo primario è quello di abbassare la carica del virus. Ciò può permettere di controllare con più tranquillità l’evolversi della malattia. Lo scopo è quello di cercare di curare a casa un numero sempre più alto di pazienti per evitare di congestionare le strutture ospedaliere e per questo motivo l’Istituto farmacologico Mario Negri di Milano, ha diffuso uno schema rivolto ai medici di famiglia per trattare a casa la sindrome da virus Sars-Cov-2. Nella fase iniziale, alla comparsa dei primi sintomi, il programma prevede quella che viene definita “la vigile attesa”, ossia il trattamento farmacologico solo con antipiretici. Importante, poi, è avere a portata di mano il saturimetro.
Il pulsiossimetro (pulsossimetro o ossimetro o saturimetro) è un’apparecchiatura medica che permette di misurare la quantità di emoglobina legata nel sangue in maniera non invasiva. Si basa sulla tecnologia sviluppata da Takuo Aoyagi nel 1974 per l’azienda giapponese Nihon Kohden. Non consente di stabilire quale sia il gas a cui è legata l’emoglobina, ma solo la percentuale di emoglobina legata. Di norma l’emoglobina lega l’ossigeno, per cui si può ottenere una stima della quantità di ossigeno presente nel sangue. In genere è formato da una sonda che effettua la misurazione e da un’unità che calcola e visualizza il risultato della misurazione. Alcuni modelli più recenti presentano l’unione della sonda e dell’unità di calcolo, facilitando la riduzione delle misure. La sonda di un normale pulsiossimetro è costituita da una “pinza” che in genere viene applicata all’ultima falange di un dito del paziente o, in alcuni casi, al lobo dell’orecchio. La sonda è collegata con l’unità di calcolo che visualizza la misura tramite un monitor, di solito a cristalli liquidi.
Quando la malattia da Covid-19 tende ad aggravarsi bisogna far ricorso a particolari farmaci come antinfiammatori sofisticati, antiaggreganti e antiacoagulanti, che vengono prescritti solitamente a livello specialistico. In particolare bisogna stare attenti ai cortisonici, i quali se assunti in maniera prematura possono addirittura influenzare la replicazione virale. Ecco perché è indispensabile ricorrere al parere di medici specialisti ed evitare le cure fai da te. Il ministero della Salute, a tal proposito, ha sconsigliato l’uso del cortisone sul territorio con la sola eccezione dei soggetti in ossigeno terapia domiciliare. L’Associazione italiana pneumologi ospedalieri (Aipo), infine, in un documento, ha evidenziato come l’utilizzo in contemporanea di antibiotici e N-acetilcisteina mostra di migliorare il decorso dell’infezione grazie all’effetto antiossidante della Nac, che è in grado di modulare il processo infiammatorio.