“Khelif e Lin sono uomini”. L’Iba torna all’attacco e chiarisce: “I test non mentono”

Il caso di Imane Khelif e Lin Yu-Ting, le due discusse atlete che si apprestano a disputare le rispettive finali di categoria alle Olimpiadi di boxe femminile a Parigi, non accenna a placarsi. Innanzitutto, va detto che la questione, dopo tante zuffe e polemiche, andrebbe riportata nel suo contesto reale. Non si tratta (o non dovrebbe trattarsi) di una discussione politica né di un caso di “mancata inclusione” – o viceversa -, ma di una vicenda legata alla regolarità delle competizioni e alla lealtà sportiva. Che assume un significato ancora più rilevante perché il pugilato è uno sport di contatto e nei combattimenti è in gioco la salute delle atlete, che dovrebbe essere la prima preoccupazione per tutti. In questi giorni si è parlato molto e spesso a sproposito della questione: qualcuno ha tirato fuori la “Sindrome di Morris“, una rara patologia che porta allo sviluppo di un fisico maschile e organi sessuali femminili. A questo proposito, va ricordato che la mezzofondista sudafricana Caster Semenya, due volte campionessa olimpica degli 800 metri con distacchi abissali sulle avversarie, è affetta proprio da questa sindrome. E alla fine è stata esclusa dalle gare femminili dopo molti ricorsi legali, e dopo che le altre atlete avevano denunciato la disparità di struttura fisica che le consentiva di dominare le gare femminili.

Ora sul caso delle due discusse pugili che stanno dominando le loro categorie alle Olimpiadi è tornata a pronunciarsi la Federazione Internazionale della Boxe (Iba) con una dichiarazione che, almeno nelle intenzioni, non lascia spazio a dubbi: “Khelif e Lin sono uomini“, hanno infatti comunicato i responsabili dell’ente pugilistico per bocca del responsabile, il Russo Umar Kremlev, e del Direttore Esecutivo, l’inglese Chris Roberts. “I test mostrano che sono uomini”, ha spiegato Kremlev. “Sono stati rilevati i cromosomi XY nei campioni di entrambi gli atleti”. Poi il responsabile dell’Iba ha portato un duro attacco al Cio, già nella bufera perché, a quanto pare, non basa i criteri di ammissione delle atlete su esami medici accurati. “Stanno cercando di fare di tutto per distruggere le competizioni femminili“, ha detto Kremlev. “Se l’Iba fosse stata in carica tutto questo non sarebbe successo. Stanno sporcando la boxe femminile”. La questione è complessa, e non a caso in prima fila contro la partecipazione delle discusse atlete alle gare femminili c’è una ex campionessa come Martina Navratilova, lesbica e portavoce del movimento Lgbtq nello sport, che di certo non può essere accusata di essere “retrograda” o sessista. Ma che su X ha scritto che l’ammissione di Khelif e Lin ai Giochi di Parigi “è una vergogna” e “la morte delle Olimpiadi“.

In molti, nei giorni scorsi, hanno puntato il dito contro Kremlev soprattutto per la sua nazionalità. Secondo i suoi detrattori, il dirigente Russo sarebbe mosso da pregiudizi e si sono sprecate le accuse di essere “pro Putin“. Ma le accuse dell’Iba arrivano anche per bocca del Direttore Esecutivo, il britannico Chris Roberts, che con Putin non c’entra niente. “Non posso divulgare i risultati dei test di idoneità perché contengono dati sensibili privati”, ha detto Roberts, “ma la squalifica dell’anno scorso è stata decisa perché i risultati dei test cromosomici hanno dimostrato che entrambi i pugili non erano idonei“. Va anche ricordato che Lin Yu-Ting non aveva presentato ricorso contro la decisione dell’Iba e non aveva contestato i risultati degli esami, mentre Imane Khelif dopo un’iniziale protesta aveva deciso di rinunciare a sua volta al ricorso legale. A difesa del Cio si è schierata la pugile algerina Roumaissa Boualem, affermando, senza spiegare il perché, che l’Iba “riporta sciocchezze”. Alla fine, la questione è legata a un fattore scientifico e di lealtà sportiva che dovrebbe essere chiarito una volta per tutte, in modo da avere regole chiare e condivise fra le diverse federazioni. Non per ideologie o posizioni politiche, che in questo caso non dovrebbero c’entrare nulla.

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