Pietro Senaldi e la scissione M5s: “Conterà meno di zero, cosa sarà di Grillo, Di Maio e Di Battista”
Quando le forze politiche perdono voti, iniziano a dividersi, così da averne sempre di meno. È la storia di Cinquestelle, che la cronaca suggerisce di chiamare ormai Duestelle, sia perché i consensi si sono più che dimezzati, scendendo in meno di tre anni dal 34 al 16%, sia perché il Movimento ormai si è scisso. La storia è nota. Il partito dei vaffa, nato contro tutti per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, è diventato più ecumenico della Dc di Aldo Moro. Beppe Grillo e Casaleggio odiavano il Pd, Berlusconi, Renzi e l’Europa di Draghi e delle banche, che insultavano selvaggiamente in piazza; in più consideravano Salvini un razzista non troppo sveglio.
Dopo avere stravinto le elezioni, si sono alleati prima con la Lega, poi con il suo contrario, il Pd e Renzi, infine con entrambi più Berlusconi e Draghi. Tuttavia da che il guru genovese, rimasto politicamente vedovo, invia baci a tutti, i suoi adepti si mandano vaffa l’uno con l’altro. In due giorni il Movimento ha espulso quaranta parlamentari, portando il numero attuale a 230, da 339 che erano, e facendo della gloriosa armata pentastellata un esercito di reduci malconci. Perfino la tessera di M5S numero uno, Marco Travaglio, ieri dalle colonne del Fatto Quotidiano ha cortesemente raccomandato al diavolo il comico che non lo fa più ridere. Cosa succederà da oggi, è facile prevederlo. Di Battista, l’unico che ha la coscienza pulita, ma solo perché è il più ingenuo di tutti, annuncerà la scissione e proverà a nominarsi anti-Grillo, chiamando a sé gli espulsi e i reietti. Essi nel frattempo si saranno organizzati in un gruppo parlamentare, embrione di un nuovo partito anti-Casta, con la singolarità di essere nato tra Palazzo Madama e Montecitorio. Il tribuno romano è l’unico che aveva scambiato M5S per una cosa seria, tanto da non ricandidarsi in Parlamento per non bruciare il secondo mandato, limite all’esperienza politica che solo un anno fa il Movimento riteneva invalicabile.
Addio ideali – La conseguenza di questa mossa è che avremo due partiti grillini. Uno è quello originale, capitanato nelle piazze da Grillo e nei palazzi da Di Maio, i quali peraltro poco si sopportano, che per sopravvivere al potere hanno rinnegato tutti gli ideali originari fino a disgustare oltre la metà dei loro elettori. Beppe sta provando a riconvertirlo in partito verde, ma i grillini non sono rifiuti facilmente riciclabili, specie dopo aver tradito gli elettori. L’altro è quello posticcio ma più genuino del vero, ai cui vertici sta un gruppo di disadattati refrattari a ogni regola di convivenza che hanno trasferito il proprio disagio personale dalla società al Parlamento. Per quanto sciamannati, essi sono elettoralmente più appetibili. I cittadini più sprovveduti amano riconoscersi in disperati da cui farsi rappresentare e ai quali chiedono solo coerenza e di non raccontargli frottole come fanno tutti. Entrambi i partiti sono accomunati dall’inabilità al governo per manifeste impreparazione e incapacità. Inutile cercare i colpevoli del disastro, perché il fallimento era nel dna dell’operazione grillina, che è andata oltre ogni aspettativa e ha potuto avere successo solo grazie alla dabbenaggine dell’elettorato italiano e alla sua irresponsabilità e scarsa lungimiranza.
Pd unica speranza – Quando un partito perde oltre il 50% dei consensi in poco tempo e la legislatura ha superato la metà, le scissioni sono la regola, il si salvi chi può è il solo denominatore e l’avvitamento è quasi sempre irrefrenabile. Ma per gli ex disoccupati grillini precipitati in Parlamento c’è ancora una speranza per non tornare al reddito zero da cui provengono. Si chiama Pd, un partito senza più identità e con sempre meno voti che, se come ormai probabile non cambierà la legge elettorale, avrà bisogno per non affogare perfino di attaccarsi a un’alleanza con i Cinquestelle come a una ciambella. E potrebbe pure arrivare al punto di richiamare in servizio Conte, ormai esperto nel ruolo di avvocato delle cause perse, per racimolare quattro voti in più.