Il “no” a Draghi paga, Meloni passa subito all’incasso: clamoroso balzo in avanti di FdI, sondaggio Supermerdia
“Effetto Draghi” sui partiti? Sì e no. Nel senso: alcune forze politiche, tipo la Lega, si mantengono stabili nei sondaggi e non pagano il contraccolpo dell’adesione alla larga maggioranza che sostiene l’ex presidente della Bce. Altre, invece, tipo il Pd e i Cinquestelle, continuano a franare nelle indicazioni di voto. A testimonianza che, da un primissimo saggio dell’elettorato, il popolo tradizionalmente di sinistra non ha apprezzato l’accordo con Matteo Salvini e, men che meno, quello con Silvio Berlusconi. Discorso a parte va fatto per Fratelli d’Italia. Il rifiuto di Giorgia Meloni, che ha deciso di rimanere fuori dalla grande coalizione, ha una tara strategica importante. Inizia già a fruttare adesso, a caldo.
E, probabilmente, stare all’opposizione, per FdI, sarà ancora più redditizio nei prossimi mesi, quando il governo Draghi si vedrà obbligato a prendere decisioni difficili e forse impopolari. Agi e Youtrend hanno diffuso ieri la supermedia settimanale dei sondaggi dei principali istituti di ricerca. Un dato non omogeneo è quello del Carroccio. Secondo alcuni è in calo, secondo altri è stabile. Sempre al primo posto, comunque. La media si attesta al 23%. È chiaro che in un primo momento la svolta moderata rischia di deludere una parte dell’elettorato leghista, ma Salvini punta a monetizzare nel lungo periodo la propria presenza nell’esecutivo ed è per questo che ha chiesto (e ottenuto) alcune caselle strategiche per la Lega, come il Turismo. Il Pd è in caduta libera.
Va sotto la soglia del 20 percento, al 19,6. Nicola Zingaretti paga le incertezze di queste settimane. È passato dal dire «mai con la Lega» al ritrovarsi in maggioranza con Salvini e Berlusconi. Una situazione che chiaramente non piace all’elettorato di sinistra, ma che il Pd, un po’ per non disattendere il monito del Quirinale, un po’ per l’assuefazione al potere, ha finito per accettare. Peggio ancora sta il Movimento 5 Stelle. In crisi di leadership, con una scissione alle porte e con un bastian contrario del calibro di Alessandro Di Battista. Logico che i sondaggi piangano. Il dato peggiore è quello registrato da Tecnè, che dà i grillini al 13,1 per cento.
Già da qualche settimana Fdi ha messo la freccia. È il terzo partito e si conferma in crescita (+0,4) al 16,5 per cento. È facile prevedere che il movimento di Meloni salirà ancora, intercettando anche quei voti in libera uscita dagli altri partiti del centrodestra. Buona la performance di Forza Italia. Che sale all’8,1, con uno 0,2 in più rispetto alla scorsa settimana. Al centro resta sostanzialmente stabile Azione di Carlo Calenda, mentre perde qualcosina Italia viva di Matteo Renzi, che “vivacchia” intorno al 3 per cento. Parlando in termini di coalizioni, la sommatoria dei partiti che sostengono il governo Draghi arriva quasi all’80 per cento. Mentre il cosiddetto “intergruppo” tra Pd, Cinquestelle e Leu, capitanato da Giuseppe Conte, raggiungerebbe il 37,9 per cento, distanziato di ben undici punti dal centrodestra unito, che è vicino alla maggioranza assoluta (48,7).
C’è poi il tema del fantomatico partito di Conte. L’ex premier non ha ancora deciso cosa fare da grande. Nel dubbio, però, Euromedia research ha testato il potenziale di una lista guidata dall’Avvocato. Ebbene, secondo Alessandra Ghisleri, essa raggiungerebbe il 12,4 per cento. E tutto a danno di 5s e Pd. I grillini scenderebbero al 10,7, i dem al 12,4. Ecco spiegato il motivo per cui Zingaretti vuole evitare in ogni modo che Conte si metta in proprio. Di qui la genesi dell’intergruppo. Un modo per porre le basi di una ipotetica nuova coalizione giallorossa che avrebbe come leader proprio l’ex premier. Se invece Conte decidesse di accettare la guida dei pentastellati, questi crescerebbero fino al 20 per cento, mentre il Pd perderebbe comunque terreno, posizionandosi intorno un triste 15 per cento.