La scuola in Pakistan non è un diritto per tutti
Difficoltà a raggiungere le strutture scolastiche, mancanza di strumenti per lo studio e problemi connessi alla sicurezza personale. Questi sono tra i tanti problemi che i bambini cristiani affrontano in Pakistan. Per loro, andare a scuola, non è così scontato. Un diritto per pochi garantito solo sulla carta.
Uno stato di assoluta precarietà
Se nei paesi più moderni andare a scuola è un diritto assodato e ritenuto ormai scontato, così non è in Pakistan. Qui, per i bambini, soprattutto se cristiani, poter usufruire dell’insegnamento scolastico è considerata una fortuna che tra l’altro hanno solo in pochi. Partendo in primis dalle condizioni personali, non tutti i ragazzi hanno le scarpe e, molti di loro, vivono così lontano dalla strutture educative che non possono nemmeno raggiungerle con costante frequenza. Appunto per questo motivo molte famiglie rinunciano a priori a mandare i propri figli a scuola. Chi ha la fortuna di assistere alle lezioni degli insegnanti incontra comunque non poche difficoltà perché mancano gli strumenti base e il materiale didattico necessario. Non ci sono libri a sufficienza, quaderni, penne o matite. Mancano lavagne e servizio internet.
I banchi con le sedie non bastano per tutti e non ci sono nemmeno spazi ricreativi. Ad essere precari anche i servizi igienici. Secondo un rapporto basato su circa 600 scuole pachistane condotto dalla Ong Starfish Asia, che si occupa del settore educativo, nel 13% dei casi non ci sono nemmeno i bagni e, nel 50%, sono condivisi tra insegnanti e alunni. La situazione è terribile ed è al limite di ogni possibile immaginazione. Per non parlare poi dei programmi scolastici: ai bambini si spiega infatti che nel Paese sono tutti musulmani. L’emarginazione e la discriminazione inizia già tra i banchi di scuola, divenendo un pericoloso modello educativo.
Servono più risorse
Le carenze, le inadeguatezze, e l’emarginazione sono destinate a divenire la normalità in Pakistan o forse lo sono già. Nonostante questo ci sono associazioni o benefattori che lottano affinché questa grande montagna, che ostacola il diritto dei cristiani, possa essere scalata. A confermare la presenza di benefattori è sempre il rapporto redatto da Starfish Asia che parla di persone animate da grande senso di umanità, spirito di solidarietà e coraggio verso i piccoli cristiani poco fortunati. Laddove il governo manca nell’appianare le differenze e le discriminazioni, alcuni imprenditori locali intervengono con delle donazioni. Le risorse che lo Stato pachistano mette a disposizione per le minoranze religiose sono esigue e non bastano ad appianare le divergenze. In media, secondo i dati del Ministero per gli affari religiosi di Islamabad, vengono destinati agli studenti di altre fedi circa 95 milioni di Rupie, equivalenti a 855mila Euro. Alla luce di un trattamento impari tra musulmani e cristiani, la dispersione scolastica cresce a dismisura. Solamente il 2% dei ragazzi, tra chi professa la fede cristiana, riesce ad accedere alle scuole superiori e l’1% alle università. La formazione scolastica è ancora una chimera.
Per i bambini manca anche la sicurezza
C’è una zona a Karachi, città più grande del Pakistan, il cui nome è abbastanza emblematico. Si chiama infatti “Essa Nagri”, in urdu vuol dire “il quartiere di Cristo”. È qui che vive una buona fetta della comunità cristiana della metropoli. Le condizioni in cui vengono lasciati i suoi abitanti sono ancora più indicative: il quartiere, costituito da dimore ammassate lungo la riva destra del fiume Lyari ed a ridosso della nuova e moderna superstrada che conduce verso la costa di Karachi, non ha collegamenti fognari e i servizi basilari non sono garantiti. Eppure i cristiani, come raccontato da un reportage di Manuela Tulli, preferiscono restare qui perché si sentono più sicuri. La loro condizione di ghettizzazione descrive quello che è un altro problema della vita dei cristiani a Karachi e in tutto il Pakistan, ossia la sicurezza.
Anche uscire da casa per recarsi a scuola potrebbe attrarre le attenzioni dei fondamentalisti islamici. Nel 2016 cinque ragazzi proprio di Essa Nagri sono stati uccisi dai terroristi, da allora un muro di cinta attorno al quartiere ha ulteriormente isolato i cristiani dal resto della città. Per andare a lezione, molti di loro devono recarsi all’interno di un altro luogo protetto: il compound dell’arcivescovado di Karachi. Seguire la scuola in queste condizioni è molto difficile. Migliaia di bambini cristiani pakistani sono scoraggiati nel proseguire o anche solo nell’iniziare gli studi. Per convincerli a non rassegnarsi a una vita fatta di emarginazione e lavori umili, un “esercito” di missionari gira per il Pakistan con l’obiettivo di togliere dalla strada quanti più bambini possibili. Ma non è semplice: la scure della minaccia fondamentalista è oggi più che mai in agguato.
La testimonianza di fede a un’Europa silente
“Vivo da molti anni in Pakistan. La difficile missione in questa terra islamica dà tanto valore alla mia vita paolina. Mi sento privilegiata a stare tra questi cari cristiani perseguitati. Con la loro fede e testimonianza, mi evangelizzano”. Queste parole sono state pronunciate pochi anni fa da suor Daniela Baronchelli, spentasi il 23 marzo 2019 all’età di 86 anni. Buona parte della sua vita l’ha trascorsa da missionaria in Pakistan e le sue frasi ancora oggi suonano come testimonianza della “lezione” che i cristiani di questo Paese danno anche all’Europa. Mandare avanti la propria fede e il proprio credo religioso nonostante le tante difficoltà, potrebbe suonare come esempio per un Vecchio Continente dove il senso stesso della spiritualità sembra essersi smarrito.
Lo prova il fatto che dall’Europa sempre più di rado emergono voci a difesa dei cristiani perseguitati. Le questioni religiose non interessano, al pari di come i richiami alle radici cristiane europee a volte sembrano suonare dalle nostre parti quasi come un elemento “politicamente scorretto”. La fede è vista come un qualcosa di lontano oppure a volte di scontato. Eppure basterebbe vedere in che modo in Pakistan si difende il proprio credo e si vive la propria dimensione religiosa, per svegliare l’Europa dal suo torpore spirituale. Un elemento quest’ultimo che spesso ha contribuito negli anni a lasciare da solo chi è perseguitato.