Foibe, orrore a guerra finita. Capuozzo: “Una pulizia etnica pianificata”
Di Fausto Biloslavo conosciamo tutti i reportages di guerra, le storie dalla prima linea. Ma c’è un tema, lontano dai drammi del presente, che ha rappresentato per anni una specie di punto fermo, un appuntamento con il dovere della testimonianza, un richiamo a rompere il silenzio: la vicenda delle foibe.
Verrebbe da dire che il reporter di guerra è attirato da un conflitto lontano che ha avuto per scenario il mondo in cui è cresciuto: Trieste e le terre d’Istria e di Dalmazia. Ma c’è una grande differenza tra le guerre di Libia o di Siria o d’Afghanistan e quelle che Biloslavo ha riesumato tra documenti e testimonianze: l’orrore delle foibe avviene, in gran parte, a guerra finita. Non è il crimine di guerra alimentato dalla ferocia della battaglia, dal furore del combattimento, dalla paura che sia l’altro a esercitare il suo odio su di te. È una resa dei conti sul corpo degli inermi, degli indifesi, dei vinti. È una vendetta contro soprusi subiti, come piace dire a qualcuno che cerca sempre nelle vittime una parte di colpa? Se lo è stata, è stata senza proporzionalità, e consumata contro gli innocenti.
È stato l’orrore delle foibe, piuttosto una pulizia etnica pianificata – uccidere uno per farne scappare cento – e una pulizia ideologica che rispondeva all’idea di futuro: il socialismo del partito e del pensiero unico: nelle foibe finirono a centinaia anche cittadini sloveni e croati, a cominciare dai preti.