Conte mendica poltrone: ministro o sindaco di Roma
La seconda opportunità, il premier dimissionario Giuseppe Conte, ce l’ha già in tasca: quella di federatore della componente Pd-Cinquestelle di cui è stato garante da settembre 2019 fino all’investitura di Mario Draghi per formare un nuovo esecutivo.
Altro che segretario di un partito senza leader com’è oramai il M5S da un anno a questa parte malgrado Luigi Di Maio, da dietro le quinte, continui a tenere le file della corrente più consistente. Conte brama di più. Ha ambizioni da statista e con la frase «Io ci sono», pronunciata qualche giorno fa in piazza Colonna, non soltanto ha mandato un messaggio a tutti coloro che, orfani di una guida autorevole, vedrebbero bene una costituente di centrosinistra ma, altrettanto ha lanciato il guanto di sfida in vista di un prossimo, futuro appuntamento elettorale. Compreso il Pd.
L’ha detto Giuseppi infatti: «Io guardo sempre al futuro» e «senza rammarico per il passato». Il messaggio è chiaro: sta cercando la strada per la propria ascesa. E quale miglior trampolino di lancio se non quello di concorrente alla poltrona di sindaco di Roma? Risolverebbe non pochi problemi al Partito democratico diviso in più di qualche rivolo e corrente, sbaragliando Carlo Calenda, oggi unico candidato nel centrosinistra e metterebbe a tacere le tante correnti interne che già da qualche mese stanno parlando fittamente di primarie per la scelta del candidato migliore per la base tesserata. Purtuttavia se arrivassero a formulare un accordo federativo Pd-M5S con a capo l’avvocato Conte, non ci sarebbe neppure bisogno delle primarie: il placet dei sostenitori dei soci giallorossi confluirebbe su un’unica personalità. Una sorta di famiglia allargata perifrasando Di Maio che in questo modo ha apprezzato la scelta di Conte di partecipare all’incontro dei parlamentari con Grillo. Faccenda che al Nazareno è stata discussa ampiamente anche prima di Natale scorso quando si cominciava a litigare su un candidato di alto profilo mentre, il presidente dell’Europarlamento David Sassoli, aveva declinato l’offerta di mettersi in gioco per Roma. Il nodo consisteva già allora in un’alleanza con i pentastellati per il Campidoglio, vista sì di buon occhio, ma escludendo l’egida della ricandidatura di Virginia Raggi.
Ed ecco pronto colui che potrebbe addirittura consentire un rispettoso passo di lato della sindaca uscente, senza decretarne la figura barbina, e proprio a supporto dell’ex premier: una lista Raggi per Conte. Perché no. I Cinquestelle così potrebbero anche rivendicare il proseguimento in Campidoglio di un nutrito gruppo, al contempo i dem non sarebbero minati da un ex premier pronto a mettere in campo un nuovo partito e alzare la posta per garantire appoggio e seguito. Al contempo l’avvocato del popolo potrebbe continuare a gettare le basi, in questi mesi, per la sua carriera politica cosa che, qualora non portasse a casa alcun incarico andrebbe presto ad alloggiare nel dimenticatoio nazionale assieme ad altre tante meteore. Si rintanerà a Firenze dove si è guadagnato la cattedra di Diritto privato all’Università. Conte peraltro ha dichiarato all’uscita dal vertice dei Cinquestelle con Grillo e Davide Casaleggio che «sarà importante il perimetro della maggioranza al momento, non se io farò parte del governo». Anche se si parla di un ministero «green».
Certo è che, semmai Giuseppe Conte dovesse perdere la sfida capitolina, visto che la battaglia è tutta aperta, si ritroverebbe intanto a ricoprire il ruolo di consigliere comunale in una città che non gli ha dato i natali. In questo caso tuttavia non potrebbe certo prendersela con il Partito democratico, ma sarebbe esclusivamente colpa della sua ambizione che qualche maligno osservatore delle cose politiche considera smisurata.