“Mi chiese di falsificare la data”. È bufera sul rapporto dell’Oms sull’Italia

La versione di Francesco Zambon. Dopo l’apparizione di Ranieri Guerra di alcune settimane fa, ieri sera a Non è l’Arena si è presentato il ricercatore dell’Oms al centro della grande polemica di fine 2020, quella relativa al rapporto dell’Organizzazione sulla gestione “caotica e creativa” del Coronavirus in Italia.

Elogiato a più riprese da Massimo Giletti, Zambon si è preso la rivincita sul collega dell’Oms nell’attesa che la procura di Bergamo decida chi aveva ragione e chi torto.

Il rapporto scomparso

Il tema è noto. Tutto ruota attorno ad un report dell’Oms sulla gestione della prima fase dell’epidemia nel Belpaese e sul mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale dal lontano 2006. Il report, dapprima pubblicato sul sito dell’Organizzazione, improvvisamente scompare. A scovarlo è l’associazione dei familiari delle vittime di Bergamo, che lo porta alla luce. Perché l’Oms non vuole farlo leggere? Zambon denuncia pressioni da parte di Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms e membro del Cts italiano, nonché ex direttore della Prevenzione negli anni in cui il piano andava aggiornato. Lui nega tutto. Report manda in onda alcune sue mail e la faccenda diventa pure un caso diplomatico e giuridico. La procura di Bergamo convoca Zambon e gli altri ricercatori, ma l’Oms li invita ad avvalersi dell’immunità diplomatica. All’inzio solo Guerra, a titolo personale, si reca dai pm a fornire la sua versione. Poi dopo giorni di polemiche pure Zambon potrà ribattere di fronte ai magistrati.

Zambon a Non è l’Arena

Lo scontro a distanza svolto in procura si è ripetuto nel salotto di Giletti. Due i temi scottanti contenuti nel dossier: da una parte il passaggio in cui si dà atto che il piano pandemico era stato “riconfermato” nel 2017 ma non “aggiornato”; dall’altra la reazione italiana definita “improvvisata, caotica e creativa”. Ieri sera Zambon è tornato sul contenuto di quelle mail con cui Guerra gli chiedeva di rivedere i contenuti spinosi. “Quando ricevetti la mail con tono intimidatorio – ha detto il ricercatore – pensai che Ranieri Guerra fosse in buona fede, e chiesi una verifica su tutti i piani pandemici dal 2006 ad oggi. Poi mi accorsi che non si trattava di buona fede, si trattava di un copia e incolla. Guerra stava cercando di coprire o mi chiedeva di falsificare qualcosa in un periodo in cui lui era stato direttore per la Prevenzione, quindi io vedevo un conflitto d’interesse rispetto al ruolo che occupa oggi”.

Il piano pandemico era aggiornato?

La versione di Guerra dice invece che nel 2016 il piano era stato rivalutato e dichiarato in vigenza. Era identico a quello del 2006? Sì, ma solo perché la “situazione epidemica” non era cambiata così come identiche erano le “regole del gioco” messe a punto dall’Oms. Che le cambierà solo nel 2017-2018. “Dal 2006 il quadro dell’influenza è cambiato eccome – ha replicato però Zambon – Abbiamo avuto la pandemia nel 2009 e i piani pandemici si aggiornano sulle base delle conoscenze che si acquisiscono durante le risposte alle pandemie. È falso dire che non c’erano linee guida: c’erano nel 2009, 2013 e 2017”. Insomma, la richiesta di Guerra di aggiungere la parola “updated” a “reconfirmed” non era accettabile. “In questo lavoro non ero da solo, c’era un team di 10 persone. Le cose incluse nel rapporto sono accurate e questa di non scrivere ‘updated’ è stata valutata da tutto il team”.

Il ruolo di Guerra e Speranza

Ci sono altre questioni in sospeso. La prima: perché Guerra, che non faceva parte del team di lavoro di Venezia, venne informato del rapporto? “Avevamo riunioni settimanali indette da Copenaghen con tutte le persone che lavorano nell’Oms in Italia per coordinare le azioni – ha spiegato Zambon – Il dottor Guerra era sempre coinvolto in queste comunicazioni settimanali. Non solo sapeva della pubblicazione, ma fu anche intervistato per un capitolo sulla linea di comando e controllo. È normale fosse informato perché era uno dei lavori dell’ufficio di Venezia”. Seconda questione: chi avrebbe dovuto informare il ministro Speranza della lavoro svolto? Per Zambon, a doverlo fare sarebbe stato Guerra. “Lui è venuto in Italia con una comunicazione formale da parte del direttore generale al ministro Speranza – ha spiegato – dove Tedros dice ‘ti mando Guerra per i rapporti diretti con te, il tuo ufficio e l’Iss'”. Dunque, se informare il ministero sull’uscita di un dossier che riguarda il Paese è “buona norma” e una “cortesia istituzionale”, questo era “un compito di Guerra” ma “non l’ha fatto”.

Le mail di Zambon

Nel pieno dello scontro sul rapporto dell’Oms, Zambon scrisse anche una mail al direttore Tedros per chiedergli un incontro. Il motivo? “Ho ricevuto dal direttore aggiunto Guerra minacce in merito ad alcuni punti”, si legge. Ma soprattutto il ricercatore temeva che ritirare un dossier per non infastidire un governo potesse provocare un danno di immagine alla indipendenza dell’Oms. “Fu una mail dolorosa per me – ha detto Zambon – Ho informato Tedros che la pubblicazione sarebbe stata utile per gli altri Paesi che stanno affrontando la pandemia. Nell’oggetto della mail scrissi ‘rischio catastrofico reputazionale per l’Oms'”. Ma nessuno ha mai risposto.

Zambon solo e Speranza infastidito

La polemica dunque continua. Zambon ha riferito di aver saputo che al ministero della Salute qualcuno si era risentito per la pubblicazione del dossier. Tra questi anche Speranza e il presidente dell’Iss. “Brusaferro l’ho sentito perché lo conosco – ha spiegato Zambon – non ha fatto commenti sul contenuto, ma solo sul fatto che non era stato informato”. Rifarebbe di nuovo tutto? “Lo rifarei senz’altro. Ho fatto il mio dovere, anche quello di riportare delle malacondotte all’interno dell’Oms. Ho due validi avvocati che mi aiutano nella strategia. Il mio scopo non è andare contro l’Oms, nonostante loro si siano messi contro di me. Sto solo cercando di lottare per un’Oms più trasparente e priva di conflitti di interesse”

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