Ue-Cina, via libera a un accordo storico. Ma l’Italia è stata estromessa dalle trattative
Lo schermo del monitor è suddiviso in cinque piccole finestrelle. Si riconoscono i faccioni di Charles Michel, Ursula von der Leyen, Angela Merkel, Emmanuel Macron e Xi Jinping. Di Giuseppe Conte neanche l’ombra. Potrebbe essere questa l’immagine più emblematica da scegliere come sfondo per raccontare il freschissimo accordo sugli investimenti raggiunto tra l’Unione europea e la Cina.
Al netto dell’importanza di un’intesa storica, arrivata dopo sette anni di trattative e sul gong di un 2020 da dimenticare, a lasciare perplessi è il non ruolo giocato dall’Italia. Alla luce della firma posta da Roma, nel marzo 2019, sul Memorandum of Understanding per aderire alla Nuova Via della Seta, in molti si aspettavano di vedere nel monitor delle trattative anche il volto del premier italiano. Così non è stato. E questo, nonostante l’Italia fosse (lo è ancora adesso) il primo e unico Paese del G7 a prender parte alla Belt and Road Initiative.
In parte per i continui tentennamenti dell’esecutivo italiano, in parte per la pressione degli Stati Uniti, Conte non ha osato percorrere fino in fondo la strada che avrebbe potuto trasformare il Belpaese in una sorta di partner privilegiato di Pechino in Europa. Il risultato, adesso, è che quella posizione vacante – la stessa che avrebbe potuto ricoprire facilmente Roma – è stata spartita tra Francia e Germania. Non a caso, sul tavolo delle trattative, a rappresentare l’intera Unione europea, c’erano Macron e Merkel.
I contenuti dell’accordo
Soffermiamoci sul Comprehensive Agreement on Investment (Cai), ovvero l’accordo sugli investimenti siglato tra Ue e Cina (che potrebbe entrare in vigore dal 2022). Intanto, come detto, è apparso inusuale che una riunione istituzionale – in cui apparivano i vertici di Bruxelles – sia stata allargata a un solo membro del Consiglio e non agli altri. Passi per la cancelleria Merkel, presidente di turno della Ue. Ma per quale motivo invitare Macron? In ogni caso, l’accordo raggiunto – di principio, ma dovrà essere ratificato – ha “un grande significato economico”, recita una nota dell’Unione Europea e “lega le due parti a una relazione sugli investimenti fondata sui valori e basata sui principi dello sviluppo sostenibile”.
Il punto cruciale riguarda una maggiore apertura del mercato cinese agli investimenti provenienti dall’Unione europea. Innanzitutto, così come le aziende europee godranno di un migliore accesso alla Cina, quelle cinesi non saranno ostacolate dall’Europa. Dopo di che, le stesse aziende europee che vorranno competere sul mercato cinese, potranno farlo da sole (con una succursale), senza doversi più aderire a un partner locale (joint venture). Infine lo spinoso tema del know how: non ci sarà alcun trasferimento di tecnologie di aziende europee. La portata storica dell’accordo è innegabile.
Doccia fredda
Tornando alla posizione dell’Italia, secondo quanto riportato da Repubblica, il premier Conte avrebbe mal digerito la partecipazione di Macron al video summit. Anche perché lui, il presidente del Consiglio che la scorsa primavera invitò Xi Jinping a Roma, si è improvvisamente ritrovato escluso dal tavolo delle trattative. E questo nonostante il primo governo Conte, si fosse impegnato strenuamente per rafforzare i legami con Pechino.
In quelle settimane, ricordiamolo, i leader europei – compresi i vertici istituzionali dell’Ue che ora corteggiano il Dragone – erano letteralmente infuriati con l’intraprendenza di Conte. Vedevano l’avvicinamento italiano alla Cina come fumo negli occhi e spingevano affinché le relazioni sino-italiane si ridimensionassero, rientrando in una sorta di alveo atlantico.
Il risultato della “giornata epocale” può essere riassunta con l’apertura all’Europa, da parte della Cina, di settori fondamentali come il trasporto aereo, l’auto elettrica, le costruzioni e i servizi finanziari. Il trattato è ancora da scrivere ma, all’orizzonte, si stanno delineando nuovi rapporti di forza. Dai quali l’Italia rischia seriamente di essere estromessa. E tutto a causa della pessima gestione italiana del dossier cinese.