Gli anticorpi monoclonali: svolta per i malati Covid-19?
Ancora poco utilizzati, gli anticorpi monoclonali oltre ad affiancarsi al vaccino sono l’arma più potente in circolazione per fermare il Covid-19 una volta che il virus è già nell’organismo.
Cosa sono gli anticorpi monoclonali
Gli anticorpi monoclonali (o MAb, dall’inglese Monoclonal Antibodies) sono particolari tipi di anticorpi, quindi molecole, che hanno il compito di riconoscere gli invasori (in particolare i patogeni come batteri e virus), per permettere al nostro organismo di neutralizzarli.
Il nostro sistema immunitario ne produce una moltitudine di tipi differenti, pronti ad identificare il nemico che sta invadendo il nostro organismo con la produzione in massa dell’anticorpo in questione: in questo modo (se tutto va bene) l’infezione viene sconfitta. Di anticorpi ne esistono miliardi ma non tutti hanno la stessa efficacia contro un potenziale invasore. Inoltre, l’organismo impiega del tempo per produrli in quantità sufficienti a debellare una malattia in corso. Quindi, prodotti artificialmente, potrebbero aiutare più facilmente l’organismo a combattere e vincere la malattia ed è quanto si sta cercando di fare nella lotta al Covid-19: una volta identificato un anticorpo particolarmente efficace, producendone in massa copie perfette, ci si troverebbe tra le mani un farmaco molto potente con cui attaccare tumori, elementi mal funzionanti del nostro sistema immunitario (capita ad esempio nella terapia di molte malattie autoimmuni) e, ovviamente, anche nel caso del virus Sars-Cov-2.
Come funzionano. “Gli anticorpi monoclonali sono farmaci prodotti in laboratorio con speciali procedimenti, simili agli anticorpi naturali da noi prodotti, appositamente disegnati per riconoscere e neutralizzare il coronavirus. Infatti, essi si legano alla proteina spike, considerata come la chiave di ingresso del virus nelle cellule impedendo per tale motivo il diffondersi del virus tra le cellule e quindi la sua replicazione. In sintesi, si possono definire degli immuno-farmaci in grado di bloccare efficacemente l’infezione virale”, ha spiegato in esclusiva per ilgiornale.it Renato Bernardini, Professore ordinario di farmacologia all’Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità.
Differenza anticorpi-vaccino. È importante comprendere una cosa, fondamentale: i monoclonali non sostituiscono il vaccino, semmai lo affiancano. L’uno non esclude l’altro perché si tratta di due procedure e situazioni totalmente differenti. “L’anticorpo monoclonale è un farmaco consistente in un anticorpo già pronto che serve a curare una malattia già in atto (immunoterapia); il vaccino, invece, serve alla profilassi, cioè previene l’infezione e la conseguente malattia (immunoprofilassi)”, ci ha spiegato il Prof., che ha aggunto come, nel primo caso (anticorpo monoclonale) si parla di immunizzazione passiva perché nell’individuo malato viene somministrato dall’esterno un anticorpo che neutralizza il virus e ne impedisce la sopravvivenza. Nel caso del vaccino, invece, si parla di immunizzazione attiva per la prevenzione della malattia da coronavirus e la prevenzione della sua diffusione. “Non è possibile confrontare l’efficacia di farmaci (anticorpi monoclonali) che servono per la terapia della malattia in atto con quella di vaccini profilattici, la cui efficacia si misura invece in termini di prevenzione dei casi di malattia”, aggiunge Bernardini.
La terapia che blocca il Covid
La terapia con gli anticorpi è in fase di sviluppo soprattutto negli Stati Uniti: la Food and Drug Administration (Fda) americana ne ha già autorizzato l’uso per le persone con sintomi lievi o moderati di Covid-19 non ancora ricoverate. La cura va somministrata il prima possibile ad adulti e pazienti pediatrici oltre i 12 anni subito dopo il test positivo ed entro 10 giorni dalla comparsa dei sintomi. I risultati sono sempre più incoraggianti e la cura sembra bloccare il Covid. “Si, poiché gli anticorpi monoclonali bloccano specificamente le proteine che servono al coronavirus per infettare le cellule. Si tratta di una vera e propria immunoterapia indicata per gli individui che hanno già contratto l’infezione da coronavirus”, ci dice il Prof. Bernardini, sottolineando come sia “una terapia per i pazienti in ambiente domiciliare, ma, per il momento, non indicata nelle forme più gravi in ospedale”. Insomma, bloccare il virus prima che sia troppo tardi, prima che faccia danni a causa della super infiammazione chiamata anche “tempesta citochinica”. “Sono in corso valutazioni per comprendere se gli anticorpi monoclonali possono essere efficaci anche in pazienti ricoverati in stadi più avanzati dell’infezione, ma non c’è ancora certezza di efficacia in questa ultima condizione, servono ulteriori approfondimenti”, aggiunge il farmacologo.
Più luci in fondo al tunnel
Accanto ai vaccini, che restano ovviamente la prima arma per fermare il virus (perché intervengono prima che la malattia possa scoppiare), la cura con gli anticorpi è una direzione in cui ci si sta dirigendo con molta più convinzione (finalmente) rispetto ai primi mesi della pandemia. L’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), tramite la voce del suo direttore generale, Nicola Magrini, ha dichiarato “massima apertura e massimo interesse sugli anticorpi monoclonali”. Il farmaco è anche sotto la lente di ingrandimento delle autorità europee “che ne stanno valutando l’autorizzazione all’immissione in commercio in Eu. Alcuni paesi europei ne hanno già programmato l’uso emergenziale sulla base di una prima segnalazione di efficacia da parte di Ema, nonché dei dati Fda”, ci dice il Prof. Bernardini, il quale auspica che nella primavera 2021 “saranno quindi disponibili diversi prodotti a beneficio della popolazione di contagiati Sars-cov 2, aumentando quindi il potenziale terapeutico contro questa malattia”.
Nuova cura in arrivo
Le ultimissime novità fanno ben sperare: scienziati britannici stanno sperimentando un nuovo farmaco che potrebbe impedire a chi è stato esposto al coronavirus di sviluppare la malattia. Si tratta di una terapia con anticorpi che conferirebbe un’immunità immediata contro il Covid-19 e potrebbe essere somministrata come trattamento di emergenza a pazienti ospedalizzati e residenti in case di cura per contenere i focolai. Il farmaco è stato sviluppato dall’University College di Londra e AstraZeneca, la società farmaceutica che, insieme all’Università di Oxford all’Irbm di Pomezia, ha anche creato un vaccino che l’Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari britannica dovrebbe approvare per l’uso nel Regno Unito la prossima settimana. Il team spera che lo studio dimostri che il cocktail di anticorpi protegge dal virus per un periodo compreso tra 6 e 12 mesi. I partecipanti alla prova riceveranno il farmaco in due dosi, una dopo l’altra.
“È un ulteriore strumento nell’armamentario dei farmaci definiti anticorpi monoclonali”, afferma Bernardini – L’anticorpo monoclonale inglese sarebbe dotato della capacità di garantire immunità immediata contro il virus Sars-Cov-2 conferita per il significativo periodo di sei-dodici mesi. Questo anticorpo sarebbe in grado di revertire la malattia anche in pazienti ospedalizzati. i risultati definitivi di questa immunoterapia dovrebbero essere resi noti intorno a marzo-aprile 2021″.
Ecco gli anticorpi già pronti
Regeneron. Accanto a questa novità in fase di sperimentazione, come accennato all’inizio, negli Stati Uniti è già iniziata la cura a base di anticorpi: fra tutti spicca il Regeneron, un cocktail di anticorpi (casirivimab e imdevimab) che è stato somministrato a Donald Trump quando è stato contagiato dal Covid (ne abbiamo parlato qui sul nostro giornale). Si tratta di un prodotto a cui le autorità hanno dato in quell’occazione un via libera d’emergenza ed è il primo farmaco disegnato per il Covid ad essere inserito nel trial britannico denominato Recovery. I risultati provvisori hanno evidenziato che il farmaco ha un effetto di riduzione della carica virale, particolarmente accentuata nei soggetti con elevata carica virale iniziale e in quelli sieronegativi. L’ Fda ha ricevuto l’autorizzazione per l’uso in emergenza per pazienti con sintomi lievi o moderati, di età superiore a 12 anni e di peso superiore a 40 chili “ad alto rischio di progredire verso forme gravi”, come si legge sul Corriere.
Ely Lilly. Praticamente al passo con la rivale Regeneron, ecco un altro big dell’industria farmaceutica: Eli Lilly, azienda farmaceutica globale con sede a Indianapolis. Si tratta del primo trattamento autorizzato per l’uso sulla popolazione. Anche in questo caso, abbiamo trattato l’argomento in modo approfondito sul nostro giornale con un’intervista alla Prof.ssa Maria Rita Gismondo, Direttore Responsabile di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica dell’Ospedale Sacco di Milano. “Questo è un anticorpo che è stato isolato da pazienti che hanno contratto l’infezione, si è mostrato protettivo e si è pensato fosse opportuno utilizzarlo successivamente, moltiplicandolo. Non è costruito in laboratorio, è moltiplicato in laboratorio. Stiamo dando una terapia assolutamente naturale che il laboratorio amplifica solamente”, ci ha detto la Gismondo. Il farmaco, noto con la sigla LY-CoV555, ha mostrato di ridurre del 72% il rischio di ospedalizzazione ai pazienti con sintomatologia moderata.
L’efficacia di questo trattamento ha già dato il via, in Italia, alla produzione per 2 milioni di dosi del bamlanivimab, l’anticorpo monoclonale della Lilly impiegato contro il Covid. Dai primi di dicembre vengono prodotte nella BSP Pharmaceuticals di Latina, che opera per conto di Lilly, circa 100 mila dosi al mese che sono dedicate, per il momento, soltanto ai Paesi dove il farmaco è già autorizzato. La produzione italiana a regime nel 2021 – si legge in una nota – sarà di circa 2 milioni di flaconi. Oltre al sito italiano, sono coinvolti altri 6 stabilimenti nel mondo. Affinché ci sia l’ok anche per il nostro Paese si attende il via libera dell’Aifa, che prende tempo.
L’anticorpo “italiano”
“L’anticorpo monoclonale che abbiamo selezionato come frutto della ricerca di laboratorio condotta nei mesi scorsi dal MAD (Monoclonal Antibody Discovery) Lab, è stato prodotto da Menarini Biotech di Pomezia e siamo adesso davvero a un passo dall’avvio delle prove cliniche, previsto per i primi di gennaio”. A spiegarlo all’Ansa è Andrea Paolini, direttore generale di Fondazione Toscana Life Sciences, polo di eccellenza scientifica. “La fase 1, che verificherà la sicurezza della terapia – precisa – sarà svolta su persone sane e condotta dall’Istituto Spallanzani di Roma e dal Centro di Ricerche Cliniche di Verona”.
Insomma, il 2021 sta portando tante frecce al nostro arco: la strada è ancora lunga, in salita e tortuosa ma si vedono, nitidamente, più luci in fondo al tunnel.