Ma quale pioggia di soldi: il Recovery Fund ci costerà miliardi (e noi l’avevamo detto)
Dalla pioggia di miliardi ad un diluvio. A carico però delle nostre tasche. Questa la misera fine che faranno le risorse del Recovery Fund. Seguendo così il mantra che andiamo ripetendo sin dal varo del programma: sono soldi nostri, ci diranno come spenderli e resteremo comunque a credito nei confronti di Bruxelles.
Il Recovery Fund è un’estensione del bilancio Ue
Non una novità. In estrema sintesi, il Recovery Fund rappresenta infatti un’estensione di quello che è il bilancio comunitario. Estensione a debito: in assenza di una banca centrale con mandato esplicito di monetizzare la spesa, l’Ue emetterà titoli per finanziare i vari programmi connessi, girando poi le risorse (in parte in prestito, in parte a fondo perduto) agli Stati membri. I quali sono gli stessi che partecipano pro quota alla formazione del bilancio dell’Unione, chiamato a sua volta a rimborsare le obbligazioni emesse. Se sembra che ci stiamo avvicinando ad una vera e propria partita di giro, è esattamente così.
Veniamo più nel dettaglio al caso dell’Italia. Com’è noto, tra le varie propaggini del Recovery Fund (nel frattempo ribattezzato con la formula pigliatutto “Next Generation Eu) sono stati a noi assegnati quasi 210 miliardi di euro. Iniziamo subito togliendo i 127 miliardi prestiti, che per definizione vanno restituiti. Rimangono così all’incirca 80 miliardi di risorse a fondo perduto. Sulle quali peraltro esiste poco, se non nullo, margine di azione: le priorità sono quelle dell’Ue, che guarda il caso non coincidono quasi mai con le nostre. A meno che non ci spieghino come le politiche per la parità di genere possano servire a riparare strade e ponti ormai colabrodo. Tanto più che fra le condizioni connesse spicca come un macigno l’aderenza alle raccomandazioni specifiche per Paese, vale a dire le famose “riforme” (alias austerità). E a nulla vale tirare fuori l’ormai stantìo adagio del “non siamo capaci di spenderli”: se gli obiettivi di Bruxelles non collimano con le necessità italiane si potrebbe anche semplificare il tutto all’inverosimile, mancherebbe però il “tiraggio” per risorse destinate ad obiettivi troppo distanti dalla realtà.
Ma quale fondo perduto: ecco perché rimarremo contribuenti netti
Poco male, di dirà. A a caval donato non si guarda in bocca: meglio prendere quegli 80 miliardi cascati dal cielo senza fiatare? Come detto, il Recovery Fund è a valere sugli strumenti di bilancio comunitari, il cui finanziamento è garantito dagli Stati aderenti all’Unione. Il caso dell’Italia è paradigmatico: dal 2001 siamo, senza soluzione di continuità, contribuenti netti. Stando ai dati della Corte dei Conti, fra 2012 e 2018 la media è stata di oltre 5 miliardi di “rosso” fra quanto versato e quanto ricevuto da Bruxelles.
Con il Recovery Fund le cose cambieranno? Se il bilancio Ue è destinato ad espandersi, allo stesso modo lieviteranno le fonti che compongono il suo attivo. Tramite, ad esempio, l’imposizione di nuove tasse comunitarie che, in ultima analisi, siamo poi noi stessi a pagare. Pensiamo alla plastic tax (abbiamo già avuto modo di sperimentarla), all’imposta sulle emissioni o a quella sul digitale. Come se non dovessimo già fare i conti con una pressione fiscale inverosimile. Ebbene, stando ad alcune simulazioni condotte dalla Commissione Europea, per poter accedere agli 80 e passa miliardi a fondo perduto ci toccherà sborsarne la bellezza di oltre 96. Significa che resteremo contribuenti netti dell’Ue. Forse con un piccolo sconticino, ma alla fine continueremo a pagare miliardi per far parte del carrozzone. Quando si dice la spesa pubblica improduttiva.
Filippo Burla