Il rapporto Censis parla chiaro: per gli italiani “meglio sudditi che morti” di Covid
Il Censis ha redatto, giorni fa, il 54° Rapporto sulla realtà sociale del Paese, e naturalmente stiamo parlando dell’Italia al tempo del Covid-19. Il motto di quest’anno è: meglio sudditi che morti. È lo spirito del tempo.
Il rapporto Censis e la “fede cieca” nel governo
Questa istantanea della società italiana rappresenta fedelmente il tunnel buio al termine del quale non si intravede nessuna luce. Non per essere ridondanti, ma tutto ciò riporta alla mente 1984 di George Orwell: si è instaurata la fede cieca nella narrazione governativa e nella repressione che lo stesso governo, in totale autonomia dal parlamento, minaccia preventivamente nei confronti di tutti noi ed opera contro chi si rende responsabile delle violazioni. E qui viene il bello. “Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il miglior alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosi della politica e ai conflitti interistituzionali”.
Nel rapporto Censis frattura tra garantiti e non
Si è manifestata, dice il Rapporto, un’ampia frattura fra garantiti e non garantiti. Sono andati fumo 500mila posti di lavoro, e il bello deve ancora venire e verrà quando i licenziamenti potranno ripartire. Noi italiani non abbiamo letto Cesare Beccaria, pare. Il 44% di noi è magicamente favorevole alla pena di morte. Si tratta di un dato che va contestualizzato: se l’emergenza fosse il terrorismo islamico, tale percentuale si riferirebbe ai terroristi islamici, ma essendo in corso una pandemia, quel tasso di gradimento della pena capitale si riferisce evidentemente a chi, da marzo ad oggi, ha violato quanto prescritto dai Dpcm. Violazioni più o meno gravi, riguardanti restrizioni più o meno pesanti, ma tant’è. In 1984 vi erano i 2 minuti d’odio quotidiano in cui la folla si inferociva contro i presunti nemici. Da marzo ad oggi stiamo assistendo al medesimo meccanismo verso chi, senza organizzare feste clandestine, ha reclamato in totale sicurezza la propria libertà. E va tutto bene, ed è tutto normale.
Il 57% degli italiani sacrificherebbe la libertà
Sempre secondo il rapporto Censis, il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali per tutelare la salute, lasciandosi anche dire come e quando uscire, chi incontrare e cosa può o non può fare. Dai dati raccolti dal Censis emerge, inoltre, che il 38,5% è pronto a rinunciare ai diritti civili per un maggior benessere economico. La pubblica amministrazione ha scioperato mercoledì scorso, e difatti loro sono i garantiti. Il privato, invece, deduciamo pensi che tutto il troiaio cui stiamo assistendo possa in qualche modo agevolare una futura ripresa. È la fede cieca nel governo Conte bis. Se il ministro Speranza avesse lasciato il suo libro in libreria, scommettiamo sarebbe andato a ruba. Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine o non rispetta il distanziamento sociale. Il 56,6% chiede il carcere per i contagiati che non rispettano la quarantena. Il 31,2% non vuole che venga curato chi, a causa dei propri comportamenti, si è ammalato. Magari il tizio che è andato a lavorare perché lo stipendio a fine mese non glielo paga lo Stato.
Il governo ci rimetterà “in castigo”?
Ci siamo incarogniti accettando le regole del gioco. Il diritto alla salute viene prima di tutto e tutto vale. Recitando la parte di quelli che perseguono il nostro bene, il governo si è dotato di poteri speciali illimitati coi quali può emanare provvedimenti perlopiù amministrativi in grado di legarci alla catena, ché tanto è fatto per il nostro bene. Ecco, quando qualcuno dice di sapere cosa sia il bene di sessanta milioni di persone, dovremmo preoccuparci. Non lo sappiamo noi, figuriamoci loro. Epperò si è insinuato il dubbio che questa realtà parallela sia quella vera. Il passato è offuscato dal dirigismo governativo, non ricordiamo neanche più il motivo per cui viviamo. Anzi, sappiamo che stiamo vivendo perché dobbiamo farlo. E dobbiamo riprendere a muoverci lentamente perché il governo avrà poi a gennaio la scusa per esporre nuovi dati terrificanti e rimetterci in castigo. Se fino a ieri era pericoloso muoverci tra comuni diversi, perché da oggi invece va bene? Nella seconda casa di proprietà, su cui paghiamo uno sfracello di tasse, possiamo tornare perché lo dice Di Maio. Sembra che questa libertà ce la dobbiamo guadagnare. O forse dovremmo riprendercela.
Lorenzo Zuppini