Bomba spread nei “libretti” delle Coop

La bomba spread potrebbe quanto prima scoppiare tra le mani delle 43mila cooperative di Lega Coop, coinvolgendo i 12 milioni di soci che hanno depositato miliardi in realtà che troppo spesso giocano a fare le banche senza esserlo.

Le coop infatti non rispondono ai requisiti di patrimonializzazione richiesti da Bruxelles che misurano la capacità di restituire i soldi «prestati» dai correntisti, né aderiscono al Fondo di Garanzia, salvagente dei correntisti nei casi di default bancari. Eppure, secondo un report dell’Ufficio Studi di Mediobanca, solo rimanendo nell’orbita delle catene di supermercati, la raccolta aggregata di oltre dieci miliardi in cui la parte del leone spetta a Coop Alleanza 3.0 (3,9 miliardi nel 2017), la principale cooperativa italiana di consumatori, seguita da Unicoop Firenze (1,89 miliardi). Ma le cooperative che invitano i soci ad aprire libretti risparmio sono molto più numerose della catena di supermercati pubblicizzati un tempo da Luciana Litizzetto e spaziano in tutti i settori, dall’agricoltura all’edilizia.

In teoria «il prestito sociale è uno strumento che tutte le cooperative hanno a disposizione per raccogliere risorse utili al loro sviluppo» e con zero costi, rendimenti interessanti e risparmi facilmente liquidabili, e promette di essere uno strumento conveniente anche per il socio prestatore. Non solo. Spesso poi si sottolinea l’etica e la sostenibilità insite nell’idea di mutualismo, a differenza di quanto accade con i molto più prosaici conti correnti bancari. Questi ultimi tuttavia hanno più tutele, mentre la sola garanzia per i «prestatori sociali» è l’affidabilità della realtà sostenuta. E, in tempi di crisi, può non bastare. In vista dell’autunno caldo che già si preannuncia tra revisione dei rating da parte di Fitch e Moody’s, legge di bilancio e continui contrasti con l’Europa, è meglio alzare la soglia di attenzione, per non rischiare di rimanere con il cerino in mano.

Anche perché già l’ultimo round di semestrali ha evidenziato un dato comune a banche e assicurazioni che, comunemente, investono parte dei capitali in titoli di Stato e, in particolare, titoli governativi italiani: l’erosione della solidità finanziaria determinata dall’impennata del differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi seguita alle elezioni del 4 marzo. L’aumento dello spread, infatti, si traduce in un parallelo calo del valore del portafoglio dei titoli governativi: Equita Sim, qualche tempo fa, ha calcolato che ad ogni rialzo dello spread di 100 punti, i primi dieci istituti italiani perdono 3,48 miliardi circa in termini di valore dei titoli di Stato italiani in portafoglio e 37 punti base a livello Cet1, l’indice che misura la solidità patrimoniale.

Il fatto è che anche le Coop investono in titoli: Coop Alleanza 3, ad esempio, a dicembre 2017, deteneva in portafoglio 2,68 miliardi in sole «attività finanziarie non immobilizzate» (ovvero senza la quota in Unipol). Anche se nessuno parla, in questi casi, di «ratio patrimoniali minimi», un rialzo dello spread o un crollo di Borsa sarebbe penalizzante.

IL GIORNALE.IT

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