Legge ad personam: revocata la condanna al suocero di Conte
Come volevasi dimostrare.
A dispetto dei giornaloni e dei pm, convinti del contrario, il suocero di Giuseppe Conte, condannato a un anno e due mesi di reclusione, è stato salvato da una norma arrivata – secondo una fonte – direttamente da Palazzo Chigi. Quella che depenalizza un reato di peculato – l’evasione fiscale di due milioni di euro di tassa di soggiorno al Comune di Roma, tra il 2014 e il 2018, trattenuti indebitamente – per una condanna precedente alla legge.
Va detto che Cesare Paladino, proprietario dell’Hotel Plaza di Roma, ha già restituito i due milioni di euro non versati nei quattro anni precedenti (assieme a un risarcimento danni) pur di accedere al patteggiamento, alla fine del quale è stato condannato a 14 mesi di carcere. Ma intanto, grazie al genero, la sua fedina penale è pulita, nonostante la Procura di Roma, per bocca del pm Paolo Ielo, avesse teorizzato che la norma non dovesse essere applicata perché «non può dirsi integrativa della norma penale, non avendo inciso sulla norma incriminatrice», perché cioè depenalizza la condotta ma non il reato.
E invece no. L’altro giorno il gup Bruno Azzolini ha accolto la richiesta presentata lo scorso 29 luglio dall’avvocato Stefano Bortone, dando uno schiaffo alla Procura capitolina. Secondo il giudice infatti l’articolo 180 del dl Rilancio, approvato dal Parlamento con i voti di Pd e M5s, ha stabilito che il gestore che non ha versato un’imposta meriti solo una sanzione amministrativa. E che la decisione debba applicarsi a tutti, anche in modo retroattivo, perché – dice il gup – il legislatore «non può dubitarsi che abbia compiuto una valutazione politica, privando di rilevanza penale la fattispecie», vista anche la pandemia e la crisi del settore, come scrive il Corriere della Sera.
Peccato che le colpe di Paladino siano datate 2014-2018, ma tant’è.
Ora, come sottolinea il deputato renziano Michele Anzaldi, «se lo avesse fatto qualunque altro presidente del Consiglio, cosa sarebbe successo?». E ancora: «Chissà che ne pensano Grillo, M5s, Anac, Antitrust. Chissà che ne pensa il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini, che oggi spiega come i 90 miliardi di euro di evasione fiscale annua siano la vera piaga che impedisce all’Italia di avere servizi efficienti e tasse più basse».
E chissà che cosa ne pensa Olivia Paladino, fidanzata del premier. Chiedetelo alle Iene, che per avere un parere della signora Paladino sulla vicenda si sono trovati di fronte la scorta del presidente del Consiglio, chiamata – così dicono – dal proprietario di un supermercato dove la donna si era rifugiata per sfuggire all’inviato Filippo Roma. «Ora i telegiornali e le trasmissioni Rai faranno il loro dovere giornalistico approfondendo questa vicenda e facendo loro le domande che alle Iene sono state impedite?», si chiede ancora Anzaldi. Lecito dubitarne. Certo, sulla mancata intervista e sul «soccorso rosso» della scorta c’è un’inchiesta della magistratura, alimentata nelle prossime ore anche da un secondo esposto firmato da alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, in arrivo nelle prossime ore.
Scoprire la verità su come è andata veramente la storiaccia della scorta è semplice. Basterebbe acquisire i filmati originali raccolti dalle Iene e mai andati in onda e incrociarli con le dichiarazioni degli interessati. È vero che come dice Conte, la scorta era sotto casa della Paladino perché anche il premier era lì e non è vero che a chiamarla è stata la Paladino? È vero che solo un uomo della scorta è intervenuto o erano tutti e tre? E se fosse così, chi tutelava l’incolumità del presidente del Consiglio? Ed è proprio vero che Conte fosse all’oscuro di tutto, come ha recentemente ribadito in diretta tv? Ah, se solo i pm decidessero di acquisire quelle immagini…
il giornale.it