Cinquestelle, i ribelli del Mes all’assalto di Crimi: «Ha tradito il programma, deve dimettersi»
È il giorno dello psicodramma a Cinquestelle. In un Palazzo Montecitorio ormai irriconoscibile per le misure anti-contagio va in scena l’auto-vaffa-day. Grillini contro grillini in un crescendo di reciproche accuse rivelatrici del travaglio causato negli ultimi giorni dal voto sul Mes. Poco è mancato che due deputate, Mara Lapia e Gilda Sportiello, arrivassero alle mani quando la prima ha definito «tradimento» il “sì” alla riforma del salva-Stati. C’è voluto l’intervento del ministro D’Incà per riportare la calma tra le duellanti. Certo, il numero dei ribelli è calato di molto rispetto a quello dei firmatari dell’appello volto a differire il voto. Ma la crisi dei Cinquestelle non è di ordine quantitativo. E i toni concitati di queste ore lo dimostrano plasticamente.
I Cinquestelle in coma irreversibile
Alla fine, il senso dello spaesamento lo troviamo ben sintetizzato nelle parole del ribelle Pino Cabras. Queste: «Non si può dire votiamo sì perché poi voteremo no. Il vostro parlare sia sì sì, no no, il di più viene da Berlino». Meno evangelici erano stati gli altri Cinquestelle dissidenti. Roboanti nei toni, ma tuttora privi di uno sbocco politico. Lo conferma la circostanza che tutti, o quasi, danno addosso a Vito Crimi («dovrebbe dimettersi»), come se davvero contasse qualcosa. Nessuno, tranne Fabio Bernardini, addita Di Maio. In compenso, tutti (o quasi) tengono a precisare che il loro voto «non è contro Conte». Come se fosse possibile sostenere il governo non condividendone la politica estera o quella tout court europea. Certo, la maggioranza à la carte sarebbe ideale. Ma arriva sempre il momento in cui la politica si presenta a menu fisso: prendere o lasciare. Il Mes è uno di questi.
L’ex-Iena Giarrusso: «Chi va via deve lasciare la carica»
«È stata una Caporetto», lamenta su Fb Raphael Raduzzi. Per i ribelli, però, il peggio deve ancora venire. Forse saranno espulsi. In alternativa potrebbe annetterseli Di Battista. Ma è difficile, visto che quattro suoi sostenitori eletti a Strasburgo hanno mollato gli ormeggi per accasarsi nei Verdi. È anche possibile che i vari Vallascas, Forciniti, Colletti e Maniero, per citare i più noti, si mettano in proprio. L’importante, dopotutto, è che la legislatura arrivi fino in fondo. Il salto della quaglia dei quattro eurodeputati fa cadere anche un altro tabù grillino: il vincolo di mandato. È l’argomento scelto da Dino Giarrusso per attaccare gli ormai ex-colleghi Cinquestelle, bollandoli come «traditori del mandato elettorale» e per invitare gli altri grillini a fare lo stesso. «Sono gli stessi – spiega l’ex-Iena – che in passato aveva invitato deputati che avevano lasciato il Movimento a dimettersi dalla carica elettiva». Altri tempi davvero.