Quando il ministero “invitò” i pm a non far autopsie sui casi Covid
È sulla circolare 11285 del ministero della Salute che grava uno dei più inquietanti punti interrogati che il governo ancora non ha voluto dipanare. È stata emanata lo scorso primo aprile (nel pieno della “fase 1”, dunque) e dà disposizioni sul settore funebre, cimiteriale e di cremazione.
Al paragrafo “c”, però, affronta anche il tema degli esami autoptici e dei riscontri agnostici (leggi qui). E così stabilisce: “Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio”. Non solo. All’autorità giudiziaria “concede”, in un cortocircuito costituzionale, la facoltà di “limitare l’accertamento alla sola ispezione esterna del cadavere”. Come è stato possibile che in Italia, nel XXI secondo, si verificasse quello che un gruppo di medici legali non si è fatto troppi problemi nel definire il “lockdown della scienza”?
L’importanza delle autopsie
“La mancanza di indagini post mortem – si legge in un articolo pubblicato a fine maggio sul Journal of clinical medicine – non ha permesso una definizione della causa esatta del decesso, utile per determinare i percorsi di questa infezione”. Non tutti si piegano al diktat del ministero della Salute. All’ospedale Papa Giovanni XXII, per esempio, come ricostruito nel Libro nero del coronavirus (clicca qui), il direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio e Anatomia patologia, Andrea Gianatti, decide di fare di testa sua. E, insieme a Aurelio Sonzogni, si mette a fare autopsie già dal 23 marzo. “È stato chiaro abbastanza presto che questa malattia si stava manifestando in forma diverse, multiple”. Per capire il comportamento del virus gli mancava ancora qualche tassello. La necessità di capire lo porta a infrangere le regole e a scoprire l’utilità dell’eparina contro le trombosi. “L’idea di intervenire sulla coagulazione a livello empirico – rivela a QN Gianatti – è partita dopo aver visto il quadro tromboembolico, e usare il cortisone nella virata infiammatoria vascolare”. Quando, però, l’evidenza clinica, supportata dagli esami autoptici, inizia a dimostrare che i malati muoiono “non tanto per insufficienza polmonare grave, quanto per embolia polmonare massiva o altri gravi fenomeni trombo-embolico”, è ormai troppo tardi. I decessi sono già a migliaia e l’onda d’urto della pandemia si è abbattuta inesorabilmente sull’Italia.
I dubbi sulla circolare
Nonostante al governo sia stato più volte rinfacciata la caterva di errori fatti durante la “fase 1”, il ministro della Salute Roberto Speranza non ha mai motivato il contenuto della circolare 11285. Ora, però, l’avvocato Giancarlo Cipolla sta cercando di vederci chiaro sui ritardi e sulle omissioni nella lotta dell’esecutivo al coronavirus. Il 5 novembre scorso la procura generale di Brescia ha avocato a sé l’indagine che nei mesi precedenti era, però, già stata archiviata dai giudici di Cremona. Le ipotesi di reato (per ora contro ignoti) vanno dall’epidemia colposa all’omicidio colposo e lesioni colpose, fino ad arrivare poi all’abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio. Nell’esposto del legale, che assiste Giovanna Muscetti, una manager milanese, si menzionano anche il divieto di eseguire autopsie sui cadaveri delle vittime del Covid-19 e il divieto di eseguire il tampone orofaringeo per avere la conferma se il morto era stato contagiato o meno. “Dai pareri dei medici citati nel nostro esposto – ci spiega Cipolla – il problema principale dei decessi non è il virus, ma la reazione immunitaria che distrugge le cellule infettate dal virus”. Molti pazienti, infatti, finiscono in rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto polmonare, e pertanto l’intubazione serve a poco se non si prevengono le tromboembolie. “Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve – spiega il professor Sandro Giannini della clinica Rizzoli di Bologna – il problema è cardiovascolare, non respiratorio. Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità”.
I punti critici
I punti uno e due del paragrafo “c” della circolare numero 11285 sono tesi a scoraggiare tout court qualsiasi analisi che potrebbe, invece, aiutare la scienza a fare passi avanti nella conoscenza del Covid-19 e quindi nello studio di una cura efficace. Al punto uno si dice chiaramente che “per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio”. Come se non bastasse al punto due si conferisce all’autorità giudiziaria la facoltà di “valutare, nella propria autonomia, la possibilità di limitare l’accertamento alla sola ispezione esterna del cadavere in tutti i casi in cui l’autopsia non sia strettamente necessaria”. Analogamente per quanto riguarda le Direzioni sanitarie di ciascuna Regione si dice che gli verranno date “indicazioni finalizzate a limitare l’esecuzione dei riscontri diagnostici ai soli casi volti alla diagnosi di causa del decesso, limitando allo stretto necessario quelli da eseguire per motivi di studio e approfondimento”. In questo modo il ministero inaugura la stagione delle concessioni con dubbia, interpretazione (come rilevato da molti studiosi) dei principi costituzionali realativi alla separazione dei poteri (giudiziario, esecutivo e legislativo) e dell’autonomia ed indipendenza della magistratura.
Difficile dire se l’indagine della procura di Brescia porterà a incriminazioni e condanne. Vedremo. Resta però la domanda: perché nel XXI secolo impedire l’esame autoptico? Una risposta ci deve pur essere. E qualcuno prima o poi dovrà fornirla.