Viktor Orban, il portavoce a Libero: “Italia danneggiata dall’Europa, il ricatto sul Recovery Fund”
Si parla continuamente, in queste settimane cruciali per il bilancio Ue, “di” Ungheria e del ruolo del suo governo nella trattativa per lo sblocco del Recovery fund, eppure non si parla altrettanto spesso “con” i diretti interessati. Lo ha fatto Libero in questo colloquio esclusivo con Zoltán Kovács, segretario di Stato ungherese e portavoce internazionale del premier Viktor Orbán. L’obiettivo è chiaro: capire i perché del veto ungherese – così come di quello della Polonia – legato al nodo dello “stato di diritto”. «Una frusta politica per punire chi non si mette in riga» secondo l’esponente dell’esecutivo magiaro. Quanto al fatto che la posizione del governo guidato da Orbán sarebbe tutta a scapito dell’Italia, Kovács tranquillizza, senza farsi mancare però l’occasione di rovesciare la narrazione degli euroentusiasti: «Non vogliamo abbandonare a sé stessi Paesi che ora sono in difficoltà». Allo stesso tempo, però, contrarre un prestito per trent’ anni non rappresenta certo «una marcia trionfale».
Zoltán Kovács, la stampa mainstream lo denuncia: è colpa dell’Ungheria se il Recovery fund è fermo. È davvero così?
«Non è l’Ungheria che ha cambiato posizione. Continuiamo ad accettare l’accordo approvato dai capi di Stato e di governo dell’Ue a luglio. La posizione ungherese rimane invariata: Bruxelles non deve legare i fondi dell’Ue a concetti così confusi e poco chiari come la violazione dello Stato di diritto, perché ciò potrebbe creare opportunità di abusi politici e ricatti. È un peccato che Bruxelles sembri occuparsi di un ricatto politico in un momento in cui il coronavirus minaccia la salute e l’economia del continente. L’accordo più recente mette a repentaglio un’azione rapida ed efficace riaprendo questioni che erano già state chiuse».
Per il presidente Orbán l’Ue vuole «usare strumenti finanziari per ricattare i Paesi che si oppongono all’immigrazione». In che senso?
«Se guardiamo agli ultimi cinque anni, vediamo chiaramente che il tema dello Stato di diritto ha preso slancio ogni volta che le forze progressiste e pro-immigrazione dell’Ue non sono riuscite a imporre la loro volontà agli Stati membri che si oppongono all’immigrazione. Dal 2015 il principio dello Stato di diritto è diventato un’arma politica contro gli Stati membri che si oppongono alla migrazione. Una volta adottata l’ultima proposta, non ci saranno ostacoli per vincolare fondi comuni a sostegno della migrazione».
George Soros ha descritto il veto imposto dai premier di Ungheria e Polonia come la «mossa disperata di due trasgressori seriali».
«George Soros è un miliardario che non ha alcun mandato democratico da parte degli elettori europei, per non parlare degli elettori ungheresi. Tuttavia, sta dando “istruzioni” a Bruxelles su come ricattare e punire i Paesi che non la pensano come lui».
L’idea del Parlamento europeo è stata di far entrare la procedura di infrazione in corso contro Ungheria e Polonia dalla “finestra” di Next Generation Eu. Ma cosa c’entrano l’immigrazione o l’agenda Lgbt col Covid-19?
«Il veto al bilancio europeo non è causato dall’Ungheria, ma da coloro che hanno determinato la situazione che ha portato a questo. Il primo ministro ungherese ha accettato l’accordo del Consiglio europeo sul bilancio a luglio, sulla base di un mandato determinato dal Parlamento ungherese; questo accordo è stato ora ribaltato dal Parlamento europeo e dalla Germania, in rappresentanza della Presidenza. L’introduzione di qualsiasi tipo di nuovo meccanismo richiederebbe la modifica del trattato sull’Unione europea. È anche ridondante far dipendere il pagamento dei finanziamenti dell’Ue da condizioni ideologiche, perché il sistema istituzionale fornisce già una garanzia che le risorse dell’Unione europea possono essere utilizzate solo in linea con le normative. Di conseguenza, non stiamo parlando di nient’ altro che di una frusta politica con la quale vogliono punire coloro che non si mettono in riga».
Pd e M5S, raccontano che l’Ungheria ha bloccato l’erogazione dei fondi all’Italia. È vero che non volete aiutarci?
«I leader dell’Ue stanno decidendo se contrarre un prestito insieme per trent’ anni; non si tratta di una marcia trionfale, sarebbe meglio esserne esclusi, ma non è quello che vogliamo perché non vogliamo abbandonare a sé stessi paesi che ora sono in difficoltà».
Giorgia Meloni, al contrario, riconosce che la vostra opposizione al “ricatto” è un diritto esercitato per difendere le radici cristiane dell’Europa e le frontiere dall’immigrazione clandestina.
«Il 18 novembre, Project Syndicate ha pubblicato un articolo di Soros intitolato “L’Europa deve resistere all’Ungheria e alla Polonia”, in cui ha scritto che il veto al bilancio settennale dell’Ue rappresenta una minaccia diretta per lo Stato di diritto. Se volete sapere come funziona il piano Soros, ecco: Soros ha raccomandato sanzioni economiche contro i paesi che non hanno ammesso i migranti nel 2015. Le istituzioni dell’Ue sono attualmente impegnate in ricatti finanziari e vendette politiche».
Anche l’Ungheria, però, ha molto da perdere da una possibile interruzione del piano di sostegno. Come spiegate questa posizione agli ungheresi?
«L’Ungheria può contrarre un prestito per trent’ anni anche senza l’Ue perché sui mercati internazionali è vista come un attore stabile. Abbiamo recentemente contratto un prestito di 2,5 miliardi di euro».
Qual è la vostra soluzione per uscire dallo stallo?
«Vediamo la possibilità di un compromesso con l’Ue, ma possiamo accettare solo una soluzione in cui vengano applicati criteri autenticamente legali, piuttosto che politici».
Per Donald Trump, il Covid è stato un grosso imprevisto sulla strada della rielezione. Può rappresentare lo stesso anche per Orbán?
«Tra giugno e agosto si è tenuta una Consultazione nazionale attraverso la quale abbiamo fatto agli ungheresi 13 domande per vedere quali misure supportassero. Ben 1.793.000 persone hanno restituito il questionario, pertanto il governo agisce su autorizzazione del popolo ungherese. Il nostro obiettivo è quello di attuare un governo popolare, che si basa sull’idea classica di Abraham Lincoln: «Del popolo, dal popolo, per il popolo».