Giuseppe Conte al capolinea, il bluff che gli può costare la caduta: così ha spaccato l’Italia

Il bluff di Conte si è svelato. La sua credibilità si è ristretta a una minoranza di ingenui o di venduti. Ci fu un momento in cui gli italiani si aggrapparono a un manichino con il viso serio eppure dolce. Usiamo il passato remoto, perché quel tempo è finito, sembra un’altra epoca. Siamo adesso nell’ora liberatoria ma tragica di quando di colpo l’incantesimo si dissolve, e la stupidità di massa lascia il posto allo sconcerto per l’inganno subito e alla rabbia della disillusione che, invochiamo il buon Dio, non tracimi in violenza. Faccenda liberatoria come sempre quando la verità si fa largo, ma tragica perché Conte regge ancora il timone del governo. Finge di dirigere il Paese da qualche parte inanellando decreti da despota, con un linguaggio elegante come ieri quando si è rivolto a Riccardo Muti, inventando scelte irrevocabili con aria dolente, come se fosse un’autorità morale. Ma ormai l’hanno capito dal Brennero a capo passero. È solo teatro dei pupi, pura finzione con spadoni di latta, Conte insiste ad avvitare l’Italia su sé stessa, nell’ammuina su una rotatoria perenne che alla fine si trasformerà nel mulinello fatale.

UN ALTRO COMANDANTE
Che fare? I futuri annegati che siamo noi hanno il diritto di chiedere che si cambi, così che arrivi un altro comandante, e che si ricrei un qualche nesso tra la realtà e la ragione. È urgente più che mai che chi occupa la plancia di comando sia uno capace di connettere il cervello al buon senso. Sempre più osservatori, anche a sinistra, riconoscono che la mediazione tra le opposte stronzate di litiganti giallorossi, imposta con Dpcm da un nano politico, non può essere tollerata oltre. Non è affatto l’unica scelta costituzionalmente possibile. Come ha scritto Domenico Cacopardo su Italia Oggi, siamo a Caporetto. I generali se la presero con l’esercito, fucilazioni a iosa. Se avessero custodito le infrastrutture di guerra, invece che dilettarsi di retorica guerresca, non ci sarebbe stata la rotta sull’Isonzo. Oggi siamo davanti a una rottura tragica. Che non è soprattutto quella dei contagi, ma è la perdita del bene più prezioso nelle calamità: la coesione sociale. Conte con le sue politiche economiche ha frantumato il Paese e demoralizzato la brava gente che non avrebbe nessuna voglia di fare rivolte. Ci vorrebbe un altro Diaz. Se resta ancora questa banda con il suo tamburo principale, il Covid con il connesso disastro economico e sociale balzerà con un saltellino oltre il Piave. I sociologi studieranno nei secoli venturi le ragioni di questo fenomeno mai visto di rimbambimento di massa durato un semestre. Certo c’era stato uno choc tremendo, l’impressione che dovessimo morire tutti da un giorno all’altro. È un buon alibi. Fatto sta che il Corona spinse ad un certo punto l’80 per cento del popolo adulto a farsi bambino e a stringersi al petto l’orsacchiotto. Giuseppe Conte nel mese di marzo e aprile, e poi con la lenta diminuzione dei contagi e dei morti apparve l’avvocato della Provvidenza. Fu identificato come l’incarnazione dello stellone italico.

DUE ABILITÀ
Conte ha avuto due abilità particolari. La prima è stata quella di trovare appoggio nel Vaticano dove si è vagheggiato di fare dell’antico allievo del cardinale Silvestrini il perduto e ritrovato nuovo leader cattolico. La seconda astuzia del premier è stata l’accattivarsi con privilegi stupefacenti i cinque milioni di statali, garantendo una vita riposata e sicura a questa vasta clientela e al loro parentorum. Risultato. L’opinione pubblica è arrivata a farne il Vitello d’oro. E il Vitello d’oro ha creduto davvero di essere Dio sceso in terra per salvarci. Siamo sicuri che questa sindrome ingannatrice non ha afferrato neanche per il mignolo i nostri lettori e neppure chi scrive su Libero. Adesso siamo in compagnia dei più: da Nord a Sud, da destra a sinistra. L’idolo è finito in frantumi. Non era d’oro ma di cartapesta. Il bluff di Conte è palese. Era ora. Come disse Abramo Lincoln: «Puoi ingannare tutti per poco tempo, o qualcuno per tanto tempo, ma non puoi ingannare tutti per tanto tempo». Certo, in tanti Paesi non si sta meglio di noi quanto a numero di contagi e decessi quotidiani. Ma mentre altrove nel mondo il vascello della sanità pubblica è stato rafforzato da noi si sono persi sette mesi. Altro che rinforzare lo scafo. Peggio ancora. Ha spaccato la nave Italia in due tronconi. Da una parte i garantiti, dotati della scialuppa dello stipendio sicuro; dall’altra i non garantiti, intere categorie del terziario che sono state abbandonate, o molti meridionali che vivono dell’economia di strada, che è tutta in nero. I piccoli imprenditori e artigiani della ristorazione e del fitness hanno trasformato locali e palestre in monasteri tibetani, lindi e salubri. E adesso sono condannati a morire, con la promessa di denari che non ci sono, dato che non si può stampare moneta. E soprattutto non si ha alcuna idea di cosa si deciderà fra tre giorni, tra cinque giorni. Mentre il Paese è un falò di rabbia e di risentimento.

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