Tutti gli errori di Conte che ci portano a un nuovo lockdown
Era il 4 maggio scorso quando, con un sospiro di sollievo, siamo usciti dalle nostre case. Dopo 69 giorni, il lockdown era ufficialmente finito e pure l’emergenza Coronavirus pareva esser stata domata.
I numeri, del resto, sembravano dare ragione al governo: la curva epidemiologica era stata finalmente appiattita, i contagi erano ridotti al minimo, così come i posti in terapia intensiva e i decessi. Giuseppe Conte – che nei primi mesi della pandemia si era paragonato a Winston Churchill – aveva vinto. Dopo aver promesso “lacrime e sangue”, aveva sconfitto il Covid-19.
Così purtroppo non è stato, come dimostrano i fatti di questi giorni. Il bollettino di ieri parla di oltre 7mila contagi (ma con oltre 150mila tamponi) e sempre più persone in terapia intensiva. La situazione, per il momento, non è minimamente paragonabile a quella dello scorso marzo. I posti in ospedale ci sono, così come quelli in terapia intensiva, nonostante l’allarme lanciato ieri da Emanuele Catena, direttore della terapia intensiva dell’ospedale Sacco di Milano: “Ci sono elementi di forte preoccupazione. Non tanto legati al numero dei ricoveri in terapia intensiva, ieri in Lombardia avevamo 63 ricoveri effettuati nelle nostre rianimazioni, ma a preoccuparci è l’andamento dei ricoveri. Da qualche giorno assistiamo a un aumento esponenziale delle richieste, tre giorni fa avevamo quattro ricoveri in più, poi ne abbiamo avuti otto e ieri ne abbiamo avuti undici. In queste ore la pressione è molto forte. Se immaginiamo di proiettare questo trend nei prossimi giorni e nelle prossime settimane potremo trovarci dalle attuali poche decine di pazienti ricoverati alle centinaia. Questa situazione potrebbe potenzialmente diventare molto esplosiva”.
La preoccupazione è dunque per il futuro. Ed è bene fare chiarezza. Circa il 94% dei nuovi contagi è composto da asintomatici o paucisintomatici, ovvero persone a cui il Covid-19 fa poco o nulla. Il restante 6% viene curato a casa, oppure in ospedale. Pochi, infine, finiscono in terapia intensiva. È chiaro che più aumentano i contagi, soprattutto nelle fasce più deboli della popolazione (anziani, malati oncologici etc…) e più posti verranno occupati negli ospedali e nelle terapie intensive. Pertanto bisogna rallentare la curva del contagio. L’altro giorno è stata evocata, sia da Andrea Crisanti sia dal presidente del Consiglio, l’ipotesi di un lockdown natalizio. Conte ha detto che dipenderà molto “dal comportamento di tutta la comunità nazionale”. Vero, ma solo in parte. Perché se pure è vero che, forse, gli italiani hanno vissuto l’estate con eccessiva leggerezza, è altrettanto vero che il governo ha fatto poco o nulla per fronteggiare l’ormai famigerata “seconda ondata” o, come la definiscono alcuni, la coda della prima.
Se prendiamo infatti in esame i mesi che vanno da maggio a settembre, notiamo che il governo ha perso il proprio tempo parlando di misure secondarie (citiamo, a titolo di esempio, il bonus monopattini e i banchi a rotelle) senza concentrarsi su un vero piano pandemico. Sono cinque i punti lasciati in bianco da Conte & Co.
- Tracciamento. Faceva giustamente notare l’Huffington Post: “Perché il sistema dei tamponi è andato in crisi nel momento in cui si è passati da una media di 50mila al giorno a una di 100mila, nonostante tanti virologi avessero predetto che quest’autunno ci sarebbe stato un boom di richieste? Che fine ha fatto il piano da 300mila tamponi al giorno che Crisanti ha consegnato al governo? Perché il via libera ai test rapidi è stato dato solo un paio di giorni fa? E quanti giorni dureranno i cinque milioni di test veloci tanto strombazzati da Arcuri?”. E ancora: perché non sono state aumentati i posti di terapia intensiva?
- Vaccini: è da marzo che il governo chiede agli italiani di vaccinarsi contro l’influenza. Giusto e sacrosanto. In questo modo, almeno sulla carta, dovrebbe essere più facile distinguere i casi influenzali da quelli Covid. Il problema è che i vaccini non si trovano. Alle farmacie vengono recapitate solamente poche dosi di fronte alle centinaia di richieste ricevute.
- Mezzi pubblici: negli ultimi mesi, gli italiani, soprattutto nelle grandi città, sono tornati a prendere i mezzi pubblici, provocando gli inevitabili assembramenti. Del resto, era stato il Cts a tranquillizzarci dicendo che il virus non prende autobus e metro, salvo poi smentirsi pochi giorni dopo. Perché non è stato pensato un piano per favorire altri tipi di movimento all’interno delle città^
- Terapie intensive: come abbiamo scritto oggi su ilGiornale.it, il numero di posti di terapia intensiva è rimasto pressoché invariato. Poco o nulla è stato fatto per aumentare i posti letto. Come è possibile affrontare l’aumento di contagi in questo modo?
- Lockdown: l’altroieri è stata ufficialmente sdoganata questa eventualità. Ma come è possibile tornare a parlarne quando questa strategia si è dimostrata fallace? Il blocco totale può essere certamente usato in misure emergenziali, ma non può diventare la norma. Come è possibile che non sia stato pensato altro?
Siamo solamente a metà ottobre. L’autunno e l’inverno possono rappresentare un “booster” per il coronavirus. Per fronteggiare l’emergenza che verrà è necessario avere un piano che, attualmente, Conte pare non avere. Churchill promise “sangue, fatica, lacrime e sudore” perché aveva un piano (disperato), nonostante avesse tutti (o quasi) contro. Tenne duro perché sicuro della propria stella e del popolo britannico. E la spuntò. È, questa, la differenza tra uno statista e un politico che dura una stagione o poco più.
il giornale.it