Orrore tra gli stranieri in Italia: “5mila bambine in pericolo”
Nada Hassan Abdel-Maqsou era una ragazzina egiziana di dodici anni. È stato per preservarne onore e purezza che la sua famiglia l’ha condotta in una clinica privata dove le sono stati mutilati i genitali: l’infibulazione.
Un’operazione che le è costata la morte per dissanguamento. Nel Paese dei faraoni – dove donne e ragazze portartici di mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono circa l’87 per cento – di storie come questa se ne sentono tante.
Ma non occorre spingersi tanto lontano per incontrare donne che portano i segni di questa pratica. Alcune di loro sono a pochi passi da noi. Sono le donne della porta accanto, quelle che frequentano il nostro stesso supermercato e incrociamo ogni mattina mentre portano i bimbi a scuola. Silenziose e discrete, custodiscono sotto veli e mantelli tutto il peso del loro segreto. Nel mondo sono 200 milioni quelle che hanno subito mutilazioni genitali femminili, circa 2 milioni di loro, stando alle stime del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), risiedono in Europa.
Una di loro è Fatima, nome di fantasia di una donna somala di nascita e pescarese di adozione. Aveva appena otto anni quando l’anziana del villaggio l’ha tagliata con un vecchio coltello, asportandole il clitoride, le piccole labbra e parte delle grandi. Poi l’ha ricucita con dello spago. Ma lei questo non se lo ricorda perché il dolore l’aveva già tramortita. Fatima è una delle sopravvissute. Secondo un’indagine dell’università Milano Bicocca, di donne come lei in Italia ce ne sono85-90 mila, di cui 5-7mila minorenni.
“Io – ci dice Fatima – non sottoporrei mai le mie figlie ad una simile agonia, è un dolore che scava dentro, una ferita dell’anima che non guarisce”. Non tutte le immigrate mutilate e infibulate che vivono nel nostro Paese però la pensano allo stesso modo. “Certe volte – conferma Fatima – l’attaccamento alla cultura di origine è più forte di qualsiasi cosa”. E infatti, sempre secondo i dati forniti dalla Bicocca, le bambine con genitori provenienti da territori a tradizione escissoria che rischiano di essere sottoposte a Mgf sono circa 5mila.
Questo nonostante “la clitoridectomia, l’escissione, l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che causa effetti dello stesso tipo o malattie psichiche o fisiche” siano espressamente vietate da una legge, la numero 7 del 2006, anche conosciuta come “legge Consolo”, dal nome del senatore di Alleanza Nazionale che ne fu promotore. Una legge che rende punibili le Mgf anche se commesse al di fuori del Paese. Sono questi infatti i casi più frequenti. Il dramma delle bimbe infibulate: “Così gli stranieri aggirano i divieti nel nome della tradizione”Pubblica sul tuo sito
Sebbene la circoncisione degli organi genitali femminili sia stata messa al bando in diversi Paesi africani, nelle aree rurali dove è ancora forte l’assetto tribale queste norme non vengono socialmente riconosciute. “Conosco diverse donne – racconta ancora Fatima – che sono rientrate nei loro Paesi d’origine per sottoporre le proprie figlie a questa pratica, perché lì è più facile trovare medici o vecchie balie disposti ad operare”. “Una volta tornate qui – continua – fanno di tutto per tenerlo nascosto, rinunciando persino alle visite mediche”.
Una versione che trova conferma anche nelle testimonianze che abbiamo raccolto sull’infibulazione nella Capitale. “La tradizione c’è e non è vivendo all’estero che le cose cambiano”, ci spiega una parrucchiera camerunense che lavora a due passi dalla stazione Termini. “Certo che in tante lo fanno, mia sorella – le fa eco una cliente nigeriana – ancora non l’ha fatto alle sue figlie ma solo perché qui è vietato ed ha paura di finire in carcere”.
“Scovare questi casi – spiega Souad Sbai, attivista marocchina e presidente della Onlus Acmid-Donne – non è semplice, sono state di grande aiuto soprattutto le testimonianze di quelle maestre che sono riuscite a cogliere i segnali di disagio delle loro alunne”. “Parliamo di un fenomeno in decrescita, ma senza dubbio ancora preoccupante, che – denuncia l’attivista – è il segno di come il processo di integrazione delle minoranze sia lento, quando si viene in Italia bisogna rispettare le regole senza se e senza ma”.
E al contrasto della pratica dell’infibulazione non giova di certo l’emergenza sanitaria. “La pandemia avrà un impatto sull’eliminazione delle pratiche dannose come Mgf e matrimoni precoci, il cui contrasto – ha avvertito Mariarosa Cutillo, chief of strategic partnership di Unfpa – potrebbe subire un rallentamento drammatico sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile del millennio”. Il rischio per i prossimi dieci anni è quello di avere almeno altri 2 milioni di donne e ragazze che andranno incontro a questa tortura.
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