“Assolto e ora tacciono. Quei silenzi vergognosi sul caso di Cosentino”
È scatenato: «Sul Riformista domani attacco la nostra categoria». Piero Sansonetti, direttore del rinato Riformista, usa parole taglienti, anche se foderate con la consueta ironia: «Questa storia di Nicola Cosentino è una vergogna.
L’hanno assolto per la seconda volta e i quotidiani tacciono o dedicano alla notizia, con le lodevoli eccezioni del Giornale, di Avvenire, del Foglio, poche righe. È terribile: siamo diventati una corporazione di giustizieri».
Un attimo, Cosentino è ancora sotto accusa.
«Certo. Ha sulle spalle una condanna in primo grado per concorso esterno in associazione camorristica, l’appello comincerà in ottobre, ma va detto che la pena si basava sui due procedimenti precedenti».
Quelli finiti con l’assoluzione?
«Sì, io non conosco i pm che hanno condotto le indagini, mi limito a osservare i fatti. Si trattava di storie di corruzione legate alla mafia».
Ai Casalesi, clan sanguinario di Casal di Principe.
«Appunto. Cosentino è di Casal di Principe, terra ad alta criminalità, quindi nessuno poteva avere dubbi sulla sua colpevolezza».
Un pregiudizio?
«Da parte della stampa mi pare evidente. Nessuno ha mai scritto, anche solo come ipotesi remota, che non fosse un personaggio collegato ai boss. Poi, però, l’hanno assolto due volte su due e, a mio parere, si prepara anche la terza assoluzione. Ti pare poco?»
Qualcosa non funziona nella giustizia italiana?
«Lui era deputato, era il capo di Forza Italia in Campania, era sottosegretario all’Economia nel governo Berlusconi. Oggi non è più niente, è stato trattato come un appestato per dieci anni e più, la politica, tutta gli ha voltato le spalle come fosse un lebbroso, la magistratura gli ha portato via il patrimonio di famiglia e ha inquisito i suoi fratelli, pure assolti».
Il Parlamento disse no alla prima richiesta di manette.
«Si, ma poi Cosentino è stato arrestato, si è fatto più di tre anni di carcere, tanti e alla luce delle sentenze, ingiusti. Anzi, c’è di più. C’è un altro procedimento, quasi surreale, nato in carcere, dove era detenuto per reati che non aveva commesso. È la storia delle zeppole, quasi incredibile».
No, non sono zeppole ma miele, medicine e vestiti.
«Insomma, in galera a Secondigliano, avrebbe corrotto un agente».
La moglie, per la precisione.
«Il marito o la moglie, non so, per avere le zeppole o il miele o quello che era in cella».
In cambio avrebbe garantito alla signora due ore settimanali di lavoro in una cooperativa che aiuta i portatori di handicap.
«Per me è una vicenda che si commenta da sola ma che si è conclusa con un’altra grandinata di anni di carcere».
Nel 2013 Cosentino scappò per qualche ora con le liste dei candidati. Ora tornerà in politica?
«Ma no, quella stagione per lui è finita. E poi deve passare altro tempo a difendersi. Intanto, il Fatto quotidiano che in questi anni gli ha dedicato 542 articoli e citazioni, tutti colpevolisti e scuri come la pece, ha raccontato l’assoluzione con 542 battute. O giù di lì».
Tu sei un garantista da sempre. Questa vicenda rappresenta un’eccezione?
«Mi pare che si vada di male in peggio».
Non stai esagerando?
«No, ai tempi di Mani pulite la detenzione era in media brevissima. Oggi, complice lo Spazzacorrotti, vedo politici languire a lungo in carcere. È una deriva che non mi piace per niente. E poi l’opinione pubblica è distratta, i giornali danno sempre ragione alle procure. E quando si scopre che quel tale era innocente, la riabilitazione ha il perimetro di un trafiletto».
Come per Cosentino?
«Esatto. Non c’è alcuna riabilitazione. Dalla gogna si passa all’indifferenza. Io non pretendo le scuse, ci mancherebbe, ma un minimo di decenza dopo le innumerevoli lenzuolate sul mostro di Casal di Principe. E allora punto il dito contro i miei colleghi».
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