Antonio Socci contro Giuseppe Conte: “Cambiamo il capitalismo? Ormai si crede Papa Francesco”
A Giuseppe Conte va riconosciuta una straordinaria capacità mimetica. Ieri, per esempio, al Festival dell’economia civile che si tiene a Firenze, ha fatto addirittura un’esternazione anticapitalista (e anti globalizzazione). Se fosse intervenuto al forum di Cernobbio o all’assemblea di Confindustria o a Davos, probabilmente, avrebbe detto cose opposte ed è proprio per questa sua multiforme identità (per cui viene spesso rappresentato come lo Zelig della politica italiana) che riesce a rimanere a Palazzo Chigi con le più diverse coalizioni. Ieri, in quel contesto, ha annunciato – nientemeno – che «il vecchio modo di intendere il capitalismo è al tramonto» e «l’economia di mercato sta cedendo il passo a una nuova fase di mercato comunitaria», qualunque cosa ciò voglia dire. Naturalmente, a prendere sul serio il suo annuncio, a proposito del primato lapiriano del “lavoro” sul mercato, ci si dovrebbe aspettare che ne traesse le conseguenze buttando al macero le politiche tedesche di austerità fin qui imposte dalla Ue. Dovrebbe buttare al macero Maastricht che impone il primato del mercato e dei bilanci pubblici anziché del lavoro, producendo disoccupazione. Ma naturalmente quelle del premier sono solo parole. Non c’è il rigore di un pensiero.
Non c’è una visione solida, né il barlume di una coerenza politica. È solo un discorso per quell’uditorio. Ed essendo parole fumose il premier si è appoggiato, visto il contesto, sulla massima autorità planetaria nell’attacco al capitalismo con parole fumose, cioè Papa Francesco, il quale, dice Conte, «ha tratteggiato i contorni di un nuovo umanesimo anche sul versante economico, che metta fine all’economia dell’esclusione e dell’iniquità, l’economia che uccide, ai sistemi economici in cui uomini e donne non sono più persone, ma sono ridotte a strumenti di una logica dello scarto che genera profondi squilibri». Questa «economia che uccide» nella visione di papa Bergoglio non è quella cinese: è quella dell’odiato capitalismo occidentale. L’economia che riduce le persone a «strumenti di una logica dello scarto» e che «genera profondi squilibri» non è la tirannia rossa di Xi Jinping.
È quella degli odiati Stati Uniti di Trump (infatti nelle stesse ore in cui cerca di rinnovare l’accordo firmato col regime cinese, il papa argentino si rifiuta di incontrare il segretario di Stato americano Mike Pompeo). La visione bergogliana, che Conte esalta e che il professor Loris Zanatta nel suo ultimo libro definisce “populismo gesuita”, si basa sull’idea della decrescita (che potrà illudere con un’immaginaria arcadia, ma significa milioni di disoccupati e molte altre cose tristi). Il professor Zanatta descrive la crociata bergogliana contro il “benessere materiale” con queste parole: «La modernità è corruzione, la storia è caducità. Perciò la terra promessa non è un orizzonte futuro ma la nostalgia d’un passato mitico. Per raggiungerlo non importa che i “poveri” salgano sulla scala della prosperità, ma che i “ricchi” ne scendano. La “soluzione” sta nella “decrescita”: bisogna “rallentare la marcia”, “ritornare indietro prima che sia tardi”. L’utopia cristiana dei “populismi gesuiti” è un inno alla povertà». Lo dimostra il recente messaggio papale sulla “Giornata per la cura del creato” che l’Huffington post ha titolato: «L’appello del Papa per una decrescita consapevole».