Poliziotti assassini? Tra blitz e agguati ne ammazzano uno ogni tre giorni
Wytasha Carter, sergente della polizia di Birmingham, Alabama, è stato colpito a morte di primo mattino, una domenica di gennaio.
Indagava su un furto d’auto e quando, assieme a un collega, ha fermato due sospetti non ha avuto nemmeno il tempo di chiedere i documenti. Fulminati entrambi a colpi di pistola da uno dei due banditi. WyTasha, sorriso aperto e cuore grande, aveva 45 anni, due figli, Dashae Box e Taelen Lamar, e il sogno di diventare pastore battista.
Natalie Corona invece di anni ne aveva solo 22 anni ed era bellissima. Era appena entrata in polizia per seguire l’esempio di papà, sergente in pensione della polizia della contea di Colusa. A Davis, in California, era stata chiamata per un incidente che aveva coinvolto tre auto. Un uomo in bicicletta, Douglas Limbaugh, 48 anni, le ha sparato alla testa poi è fuggito. Lo hanno trovato ore dopo, non lontano di lì, suicida. Natalie aveva completato la sua formazione sul campo soltanto da tre settimane.
Anche l’agente Chatéri Payne era appena entrata nella polizia di Shrevenport in Lousiana, fresca di Accademia. A ucciderla un insospettabile: il fidanzato Treveon Anderson, padre del suo bambino di due anni, anche lui a colpi di pistola «Abbiamo perso una delle nostri ragazze migliori – dice il capo della polizia – Era nata per questo lavoro». Ma morta troppo presto per scoprirlo.
Li chiamano assassini, gente dal grilletto facile, ispettori Callaghan che non riescono a imporre la legge senza usare la mano pesante, senza infilare nella fondina, come nel far west. una sfilza di morti innocenti, soprattutto neri. Invece sono uomini e donne di tutte le razze e di tutte le età, neri, asiatici, italiani, latinos che lavorano nelle 18mila organizzazioni di pubblica sicurezza americane, dove vale un principio su tutti, prima di ogni predica: «La reazione ti uccide, l’azione ti salva», come spiegava una poliziotta. Cioè con 423 milioni di armi nelle mani degli americani se aspetti che la tiri fuori sei morto.
Perché i poliziotti per strada, i cop, piedipiatti, vittime di agguati e di vendette, giustiziati spesso senza aver nemmeno il tempo di impugnare la pistola, muoiono come mosche anche ai tempi del Black Lives Matter. Le statistiche dell’Fbi dello scorso raccontano una contabilità impressionante: 106 agenti di polizia hanno perso la vita in servizio in dodici mesi, praticamente uno ogni tre giorni, il 13% in più rispetto all’anno prima. Hanno un’età media di 37 anni e dieci anni di di servizio. Muoiono come in guerra, quasi sempre confinati in una breve di cronaca sui giornali locali, chi cade ammazzato da un criminale, chi nel tentativo di catturarlo, chi in un’imboscata, chi durante un inseguimento. La realtà di questa frontiera di fuoco ha angoli che non ti aspetti: statistiche raccontano che sono più bianchi che neri gli uccisi dalla polizia, che molti di questi portavano un’arma e che i poliziotti di colore sparano tre volte più facilmente dei colleghi bianchi. La divisa, raccontano quelli che la indossano prima di affrontare la guerra, dà la licenza di essere uccisi prima che di uccidere: «Quando è uno di noi a uccidere qualcuno di colore finisce nella gogna globale. Quando uccidono uno di noi, facciamo il funerale con le cornamuse, la vedova in nero e la bandiera sulla bara. Ma non frega mai niente a nessuno».
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