Immigrazione, Annalisa Chirico contro il governo: “Immigrati trattati come bestie, nascosti i lager itaiani”
Ogni cinque lampedusani c’è un immigrato. Basta questo rapporto a dare l’idea dell’emergenza in cui vive l’isola siciliana. Una situazione messa in luce dall’ispezione della task force della Regione Sicilia nel centro migranti. E ormai fuori dal controllo sia del governo che dei cronisti, ai quali non è concesso entrare nell’hotspot, come denuncia Annalisa Chirico, giornalista de Il Foglio e presidente di “Fino a prova contraria”.
Chirico, lei ha chiesto al Viminale di entrare nel centro per un reportage e le è stato detto di no.
«In un Paese democratico non dovrebbero esistere prigioni segrete né centri di accoglienza inaccessibili ai giornalisti. Eppure il Viminale mi ha fatto sapere che la mia richiesta di accesso veniva respinta perché “non esistono precedenti”. Mi è stato anche spiegato che, in caso di una mia visita, non sarebbero stati in grado di garantire il rispetto della normativa anti-Covid. Una risposta inquietante: posso solo immaginare in quali condizioni operino il personale medico-sanitario e le forze dell’ordine che presidiano la struttura».
A Lampedusa ci sono 920 immigrati, tra hotspot e strutture parrocchiali. Nei giorni scorsi erano 1.200. Come si fronteggia la situazione?
«Gli hotspot come quello di Lampedusa sono i nuovi lager. Per questo vanno chiusi, subito. Come si possono tenere 1200 persone in un posto che potrebbe ospitarne al massimo 190? Gli esseri umani non possono essere trattati peggio delle bestie. Come dice Marco Minniti, la capacità di accoglienza di un Paese trova un limite nella sua capacità di integrazione. Quali prospettive offriamo a queste persone? In Germania gli immigrati regolari seguono l’Integrationskurs, 600 ore di lingua tedesca, corsi di diritto tedesco e avviamento al lavoro. Noi invece prendiamo tutti gli immigrati, come se esistesse un diritto a entrare in Italia».
Al largo di Lampedusa arriveranno in questi giorni due navi quarantena per alleggerire il carico sull’isola. Serviranno a qualcosa?
«Le navi non sono la soluzione, vanno bloccati i flussi. Con la retorica delle porte aperte, gli sbarchi si sono moltiplicati in assenza della benché minima strategia. Conte, un anno fa, si autoglorificava sui giornali raccontandoci la “svolta storica” dell’accordo di Malta per il ricollocamento dei migranti in altri Paesi europei. Oggi abbiamo invece conferma che l’Italia è sola. E il premier pare essersi inabissato: qualcuno l’ha visto? Avete sue notizie?».
Conte non è mai stato a Lampedusa, la Lamorgese non è mai stata nell’hotspot. Sono disinteressati alle sorti dell’isola?
«Non parlerei di disinteresse, ma è chiaro che c’è la volontà di tenere la questione sotto il tappeto. Mentre invochiamo la chiusura dei lager libici, ne coltiviamo uno sotto casa. I lager degli altri ci fanno schifo, i nostri li nascondiamo con cura».
Se non ci vanno gli esponenti del governo, dovrebbero provare a entrare nel centro migranti almeno i parlamentari?
«”Dove c’è strage di diritto c’è strage di vite umane”, diceva Pannella. Penso che in questi giorni si sarebbe appostato all’ingresso in attesa di essere ammesso. Prendendo il suo esempio, spero che un parlamentare, di qualunque partito, si decida a esercitare le proprie prerogative per vedere con i propri occhi e consentire di informare i cittadini che con le tasse tengono in piedi strutture palesemente fuorilegge».
Dovrebbe andarci Salvini?
«Perché no? Se interrompesse la campagna elettorale per andare a Lampedusa, farebbe cosa buona e giusta».
Il governo pensa a sconti fiscali per i lampedusani in cambio della loro disponibilità ad accettare i migranti. Si tratta di un contentino?
«Scambio indecente. I diritti umani non si barattano per pochi spiccioli».
Riproverà a visitare l’hotspot?
«Io non demordo, voglio entrare e vedere con i miei occhi. La task force voluta dalla Regione Sicilia ha detto che quel centro va chiuso perché non è in grado di prevenire non solo il Covid ma neanche altre malattie. E ha ragione il governatore Musumeci: i diritti vanno praticati, non predicati».