Di Maio dorme e la Turchia “occupa” Misurata: grosso guaio per l’esercito italiano
Zero strategia, zero prospettive. La politica estera richiede lungimiranza e capacità diplomatiche. Non si fa a suon di colpi di mano, per quanto a volte possano imprimere svolte decisive. Il nostro grosso problema è l’inconsistenza dell’attuale governo italiano, nascosto sotto le bende di un attendismo miope e in quanto tale deleterio. Un immobilismo sconcertante soprattutto in Libia e descritto perfettamente dall’ex generale dell’Aeronautica militare, Vincenzo Camporini, che prova a invocare un cambio di passo: “Dobbiamo ricostruire dall’inizio una strategia del nostro Paese nel quadro delle alleanze storiche Nato e Ue – ha dichiarato Camporini a Globalist – per, prima di tutto, identificare e poi proteggere i nostri interessi. Purtroppo, però, a mio avviso questo governo una visione non ce l’ha, al di là dell’affannarsi, in modo tutto sommato confuso, per la difesa contro la pandemia”.
L’assenza italiana
A prescindere dalle alleanze possibili e dal tempo dedicato all’emergenza coronavirus (cosa che accomuna peraltro tutti i governi), emerge la letargia dell’esecutivo giallofucsia. Il ministro Di Maio, se escludiamo estemporanee sparate e costose visite in Tunisia, non sembra proprio rendersi conto che in Libia ci stanno sottraendo terreno in tanti. E se la Francia giocò le sue migliori carte anti-italiane per abbattere Gheddafi, adesso nella “quarta sponda” avanzano Turchia e Germania. Una partita a scacchi che ruota attorno all’area nordafricana e penetra in tutto il Mediterraneo. “La vera posta in gioco – precisa Camporini – sono gli equilibri complessivi in questa regione, che stanno venendo meno, anche per l’attenuarsi dei vincoli di alleanza storici che oggi sono messi in discussione. Purtroppo da Roma si sta a guardare. Fino a qualche tempo fa, ci limitavamo ad agire di rimessa, a reagire a quello che stava accadendo per iniziativa altrui. Oggi abbiamo rinunciato anche alla reazione. E’ un atteggiamento di assoluta passività, da cui non c’è possibilità di trarre alcun vantaggio”. Analisi indiscutibile e che da tempo proponiamo su questo giornale, se non altro per non assopirci e tentare di scuotere dal torpore chi è già sprofondato in un lungo sonno.
La Turchia ci frega Misurata
Ma dicevamo della Turchia, le cui mosse in Libia sono arcinote e proseguono ormai da anni. E’ però notizia di ieri che il Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli (quello per intenderci che ha sempre sostenuto l’Italia) avrebbe concesso ad Ankara il porto di Misurata come base da utilizzare per le navi militari operanti nel Mediterraneo Orientale. La notizia è stata diffusa dall’emittente televisiva libica 218 tv, che ha sede in Giordania ed è considerata vicina al generale Khalifa Haftar che controlla la Cirenaica. Andrebbe quindi presa con le molle, perché proviene da chi punta a screditare il governo nemico di al-Serraj. Ma se non è vera al 100%, è comunque del tutto verosimile. Le fonti citate tra l’altro parlano di accordo raggiunto ieri a Tripoli tra Gna, Turchia e Qatar, in occasione della visita nella capitale libica dei ministri della Difesa turco e qatariota. In base a queste fonti il porto di Misurata verrebbe dato in concessione alla Turchia per un periodo di ben 99 anni. Sarebbe più di uno schiaffo all’Italia, significherebbe l’occupazione di una città strategica in cui sono stanziate da anni le nostre truppe (per l’esattezza 300 militari) e la creazione di un avamposto turco in chiave anti-greca.
E spunta la Germania
Ma dicevamo anche della Germania. Attore silenzioso eppure tremendamente efficace, che adesso riveste un ruolo di primo piano in Libia. Il governo tedesco da una parte vende armamenti alla Turchia e dall’altro si sta ponendo come mediatore nel conflitto libico. Ha iniziato a farlo con la conferenza di Berlino dello scorso gennaio e non intende smettere. Non c’è quindi da stupirsi se uno dei promotori dell’accordo a tre siglato tra Qatar, Turchia e Tripoli sia il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Mass. Dunque oltre ad essere scalzati da Erdogan, nella “quarta sponda” ci fa le scarpe pure la Merkel.
Eugenio Palazzini