Giuseppe Conte, spunta un altro regalo al suocero Cesare Paladino: sconto sulle tasse per 27 milioni di euro
Tutto tace dalle parti di Palazzo Chigi. Mentre fioccano le confessioni di parlamentari e amministratori locali che che si sono pappati il bonus destinato agli autonomi in bolletta, Giuseppe Conte non dice una parola sulla depenalizzazione dell’evasione fiscale sulla tassa di soggiorno che ha consentito al suocero Cesare Paladino di chiedere l’annullamento della condanna. Dopo l’articolo di Libero pure i forzisti Lucio Malan e Maurizio Gasparri, hanno provato a chiedere lumi, ma senza risultati. Eppure di spiegazioni il premier dovrebbe darne più d’una. Già, perché, come abbiamo anticipato ieri, l’aiutino fornito da Conte col decreto Rilancio (è lì dentro che è stata infilata la trasformazione del peculato in illecito amministrativo) non è stato un caso isolato. Tutt’ altro. L’avvocato del popolo si è dato da fare per la famiglia fin da subito. Per la precisione fin dall’ottobre del 2018, quando fu approvato uno dei primi atti del governo guidato da Lega e M5S, il decreto fiscale.
Ricordate le polemiche furibonde tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio sul cosiddetto scudo penale per chi avesse aderito alla sanatoria? La storia della manina che di nascosto avrebbe introdotto una sorta di condono nel testo? Ebbene, la disputa si risolse solo dopo un lunghissimo vertice di maggioranza, al termine del quale proprio Conte si fece garante del provvedimento, assicurando di aver visionato e concordato tutto il documento dalla prima all’ultima riga. Difficile dunque, per un esperto di diritto come lui, non accorgersi che il provvedimento avrebbe dato una grossa mano alle aziende dei Paladino. Aziende della cui situazione finanziaria difficilmente Conte poteva essere completamente all’oscuro. Stando alle relazioni dei sindaci recuperate all’epoca da Franco Bechis, le società possedute da Cesare, dalle figlie Cristiana e Olivia (la fidanzata del premier) e dal loro fratellastro Jhon Rolf Shadow Shawn, avevano già tentato di liberarsi dalle pendenze fiscali con le prime due rottamazioni varate dal governo Pd, ma i problemi non erano stati risolti a causa anche delle maglie strette della sanatoria. E i revisori avevano iniziato a mettere in guardia gli amministratori sulla crescita dei debiti di natura tributaria e sul possibile superamento delle soglie di punibilità per evasione. La rottamazione ter varata dal Conte I si mostrava ben più generosa delle precedenti. E i Paladino ci si sono tuffati a pesce. Una dopo l’altra, scriveva il direttore del Tempo, «hanno fatto domanda la Archimede immobiliare, l’Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio, l’Unione esercizi alberghi di lusso e l’Immobiliare di Roma Splendido». Risultato: i “congiunti” del premier si sono liberati in un colpo solo di 27 milioni di arretrati fiscali (altri 9 non sono riusciti ad infilarli dentro l’operazione), senza pagare un euro su interessi, more e sanzioni e ottenendo una comoda rateizzazione del dovuto. Ora, è possibile che il premier non sapesse. Ed è pacifico che della rottamazione delle cartelle esattoriali hanno potuto beneficiare centinaia di migliaia di contribuenti. Ma il conflitto di interessi, piaccia o no, funziona così. Soprattutto quello che piace ai grillini. Non tiene conto della buona fede o dell’universalità delle leggi, ma solo della possibilità che si possa trarre un vantaggio personale dalla propria attività istituzionale. Cosa sarebbe successo se la stessa cosa fosse capitata a Salvini?