Indagine sui fondi alle cliniche. Si stringe il cerchio su De Luca
La Corte dei Conti indaga sull’enorme flusso di denaro pubblico finito dalla Regione Campania alle cliniche private durante l’emergenza coronavirus.
La Guardia di finanza stima intorno ai 20 milioni di euro il danno erariale per le somme erogate in modo non corretto a 56 strutture private, in base a un accordo tra la Regione e l’Aiop, l’associazione dell’ospedalità privata.
È la terza inchiesta, dopo le due della Procura di Napoli sugli appalti per gli ospedali covid e per l’esecuzione dei tamponi, che stringe il cerchio sull’operato del governatore uscente del Pd Vincenzo De Luca durante l’emergenza. L’ente regionale avrebbe pagato 3 milioni e 300 mila euro a una struttura privata di Benevento l’utilizzo di tre posti letto nella fase critica della pandemia. Mentre i campani erano rinchiusi in casa, per le ordinanze draconiane dello sceriffo salernitano, la sanità privata faceva affari d’oro sul coronavirus. Il caso di Benevento fa scattare l’indagine dei magistrati contabili. Le fiamme gialle cominciano gli accertamenti. Successivamente alcune Asl iniziano – dopo la segnalazione del caso sannita – a non liquidare determinate fatture, cioè quelle presentate in assenza delle prestazioni.
È Repubblica che svela l’esistenza della terza inchiesta sulla gestione dell’emergenza in Campania: «Tre mesi di indagini condotte dal vice procuratore Licia Centro e dal sostituto procuratore Davide Vitale. È venuta fuori una informativa di 700 pagine che ora è sulla scrivania dei magistrati contabili: 19.862.241 euro di illeciti pagamenti per prestazioni non rese».
Sotto la lente d’ingrandimento della Corte dei Conti finisce l’accordo stipulato tra Regione Campania e sanità privata per poter usufruire di posti letto aggiuntivi durante l’emergenza covid. Nel mirino dei magistrati alcuni punti di quella intesa, in particolare quello che prevedeva di pagare «il 95 per cento del budget mensile assegnato ogni anno alle singole cliniche a prescindere dal valore reale della produzione».
Una norma varata nei giorni dello scoppio dell’emergenza, poi ridimensionata nelle settimane successive, che in sostanza avrebbe consentito ai privati di ottenere introiti pur in assenza di posti letto realmente utilizzati. La legislazione emergenziale prevedeva la possibilità, da parte della sanità privata, di vendere alla sanità pubblica prestazioni pro-covid per fronteggiare l’eventuale necessità di svuotare i reparti di terapia intensiva e sub intensiva pubblici per alleggerire la pressione dei malati covid. Tutto doveva avvenire nell’ambito di specifiche condizioni contrattuali che presupponevano l’uso dai budget tradizionali anche per l’acquisto di queste prestazioni che avrebbero consentito di poter creare veri e propri reparti pro-covid privati.
Per la magistratura contabile, in Campania sarebbe stata interpretata «in modo strumentale la normativa primaria andando a individuare, così, la possibilità di remunerare i privati anche solo per la disponibilità dei posti».
La nuova inchiesta infiamma la campagna elettorale: «C’è un unico mandante dietro gli accertamenti della giustizia penale e contabile. Lo stesso che prima ordina e poi scarica le responsabilità su meri esecutori amministrativi. Vecchia pratica comunista», attacca Stefano Caldoro, candidato presidente del centrodestra in Campania.
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