Ecco perché i migranti rimangono in Italia: il nuovo fallimento del governo
Sono numeri importanti quelli che fanno riferimento all’arrivo di migranti in Italia in questi mesi del 2020. Un fenomeno in crescendo dalla primavera ad oggi che non accenna a rallentare facendo registrare cifre abbondantemente superiori a quelle dello scorso anno. Come si vede dal cruscotto pubblicato dal Viminale i dati parlano chiaro: gli stranieri arrivati nel nostro Paese da gennaio ad ora sono 9.706 rispetto ai 3.186 dello stesso periodo del 2019. Se si prende poi in considerazione solamente il mese di luglio, fino a giorno 15, si contano 2.756 arrivi rispetto ai 1.083 del 2019.
Si tratta di dati che non solo fanno emergere il problema più imminente relativo al sistema accoglienza ma che rinviano poi ad altre questioni fondamentali: il ricollocamento e il rimpatrio. Misure queste ultime che, in questo 2020 hanno fatto emergere delle lacune nella loro attuazione.
I ricollocamenti e il loro fallimento
In un report del Viminale emerge che non vi è stato alcun trasferimento di migranti all’estero. Come fatto notare da Patrizia Floder Retter su La Verità, i migranti che sono arrivati in Italia nel 2020 non sono stati ancora trasferiti negli altri Paesi europei. Chi ha messo piedi nel nostro Paese quest’anno è ancora qui. Nel report del Viminale la situazione appare ancora più chiara: qui emergono ogni mese le date degli sbarchi, i nomi delle navi Ong attraverso le quali i migranti sono arrivati in Italia e anche il numero delle persone che poi vengono ricollocate altrove. E appare chiaro ed esplicito il numero zero con riferimento ai ricollocamenti.
Il governo all’inizio della stagione estiva si è fatto sentire in sede europea in merito all’ipotesi di un meccanismo automatico di ricollocamenti senza registrare però alcun risultato. La possibilità di rivedere l’accordo di Dublino (che disciplina la materia) in sede comunitaria, rimane una possibilità da escludere, almeno per il momento. Ed in merito alle difficoltà da parte del governo di effettuare i ricollocamenti è intervenuto su il Giornale.it il presidente della Commissione Parlamentare Schengen Eugenio Zoffili: “I ricollocamenti erano un dossier difficile anche quando al Viminale c’era un Ministro come Matteo Salvini che, con la politica dei porti chiusi e i decreti sicurezza, era riuscito a stroncare il numero degli sbarchi clandestini nel nostro Paese. Ricordiamo bene- prosegue il deputato della Lega- le estenuanti trattative a livello europeo, dove la gran parte di Governi comunitari si mostravano alquanto recalcitranti nell’accettare anche quote minime di richiedenti asilo dall’Italia. Era difficile quando la Lega era al Governo, ancora di più oggi con la sinistra che proclama come priorità lo smantellamento delle leggi e delle strutture che difendono i nostri confini dal traffico di esseri umani.
I pochi “voli” del 2020
Analizzando il sito del Ministero dell’Interno che fa riferimento ai dati relativi ai ricollocamenti, l’ultimo di cui è stata data comunicazione ufficiale è quello del 27 gennaio del 2020. In quella data, come si legge nello stesso sito “da Roma è partito un volo diretto a Parigi con 68 richiedenti asilo già accettati dalla Francia nell’ambito delle procedure di ricollocamento avviate dalla Commissione Europea su richiesta dell’Italia”.
Si tratta però di un ricollocamento riguardante migranti giunti in Italia non nel 2020 ma nel 2019. Gli stranieri accompagnati in Francia sono arrivati nel nostro Paese attraverso le seguenti navi: Cigala Fulgosi il 2 giugno del 2019, Ocean Viking il 16 ottobre del 2019, Alan Kurdi il 3 novembre del 2019, Ocean Viking il 24 novembre del 2019 e Aita Mari il 26 novembre del 2019. Analizzando sempre lo stesso sito, non emergono altri ricollocamenti nel 2020. Tuttavia, dal Viminale, le fonti da noi contattate ci confermano che, in questo 2020, ci sono stati altri ricollocamenti, ovvero quelli eseguiti a febbraio con 254 persone, a giugno con altri 59 migranti e a luglio con ulteriori 93 stranieri. Mentre per quanto riguarda i mesi del lockdown, in questo periodo non ci sono stati ricollocamenti.
Il governo spera ancora in una solidarietà inesistente
È bene anche capire come mai si parla di ricollocamenti. Tutto nasce dal fatto che le politiche sulle richieste d’asilo all’interno dell’Ue sono regolate da un trattato che è quello di Dublino del 1990, secondo cui l’onere dell’accoglienza e dell’esame delle domande d’asilo del migrante spetta soltanto allo Stato di primo approdo. Per l’Italia questo non può che tradursi in disagi molto netti, specialmente quando il flusso di persone verso le nostre coste subisce repentine impennate.
Per questo più volte il nostro Paese ha invocato una revisione del trattato di Dublino, che però non è mai arrivata. Anche perché sotto questo profilo è molto forte la resistenza dei governi del nord Europa, che non gradirebbero alcun meccanismo in grado di redistribuire automaticamente nel resto del territorio comunitario i migranti sbarcati in Italia, in Grecia od in Spagna. Eppure, il governo Conte II punta dritto ancora su questo obiettivo. Già dal suo insediamento al Viminale a settembre, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha dichiarato più volte che principio cardine della sua operazione politica era quello di intaccare in Europa un sistema automatico di ricollocamenti.
La Germania ha dato manforte al nuovo governo di Giuseppe Conte organizzando il 23 settembre a Malta un vertice, il quale però non ha prodotto alcun risultato se non quello di un documento di cinque punti da proporre in sede europea. E che poi, come prevedibile, a Bruxelles è stato puntualmente respinto. Nonostante questo, l’attuale esecutivo ha continuato a parlare di “successo” e di nuovi meccanismi di ricollocazione dei migranti intaccati dopo l’incontro maltese. Ed oggi, anche se i numeri parlano dell’insuccesso della strategia, da Palazzo Chigi e dal Viminale si continua a battere su questa strada. Ad inizio giugno Luciana Lamorgese, assieme ai suoi colleghi di Spagna, Grecia, Malta e Cipro, è tornata a chiedere all’Europa la revisione di Dublino ed un meccanismo automatico di ricollocamento. Anche in questo caso però, da molti governi dell’Ue sono arrivate prevedibili e scontate bocciature. Piuttosto quindi che evitare il più possibile nuovi ingressi, il governo giallorosso sta perseguendo la strada della solidarietà in ambito europeo e dei ricollocamenti di chi arriva da navi militari o delle Ong.
La situazione relativa ai rimpatri
Con riferimento alla situazione relativa ai rimpatri, emerge una certa difficoltà nel reperire i dati direttamente dal sito del Viminale. Al contrario del fenomeno degli arrivi, i cui numeri sono costantemente aggiornati, non emerge un analogo sistema per quello relativo ai migranti rimpatriati. Gli ultimi dati resi noti sono quelli che si fermano al 2019, l’anno caratterizzato da uno dei più bassi dati relativi all’ingresso di nuovi migranti nel nostro Paese.
Per rimpatriare un immigrato è necessario che esso sia riconosciuto dal paese di appartenenza come suo cittadino. Nessuno può essere rimpatriato senza un documento di viaggio che sia emesso dal proprio Paese per il rientro. Questo presuppone accordi e una collaborazione tra gli Stati interessati dal fenomeno e non sempre è facile arrivare a questo risultato.
Gli accordi in tal senso sono stati stipulati con Marocco, Tunisia, Nigeria ed Egitto. E sono stati proprio gli irregolari provenienti da questi Stati a ricevere negli ultimi anni, il maggior numero di fogli di via. Tra il 2015 e il 2017 ci sono stati 25.440 provvedimenti di via con destinazione Marocco, 12.965 per la Tunisia, 5.500 per la Nigeria e 5.095 per l’Egitto. Gli accordi con il Marocco invece non sono mai entrati in vigore nonostante siano stati firmati. Vi è comunque collaborazione coi consolati. Ad ogni modo, soltanto una bassa percentuale di coloro che sono stati raggiunti dal foglio di via successivamente rientra in patria. A proposito dei Paesi considerati, soltanto il 10% tra i marocchini con l’ordine di uscire dal territorio nazionale torna in Marocco, percentuale simile per i nigeriani, mentre sale poco oltre il 30% per tunisini ed egiziani.
A questo, occorre aggiungere che la maggioranza degli irregolari però proviene proprio da quei Paesi con i quali l’Italia non ha raggiunto nessun accordo, ovvero quelli dell’Africa sub sahariana. In questi casi le espulsioni sono molto limitate con percentuali che oscillano dal 3% al 15% massimo. Complessivamente negli ultimi 10 anni, a fronte di una presenza di irregolari che dovrebbe attestarsi intorno alle 600.000 unità, il numero complessivo dei rimpatri non è stato superiore ai 7 mila per ogni anno. Nel 2019 sono stati rimpatriati 6.298 migranti, 6.820 nel 2018, 6.514 nel 2017 e i numeri non sono tanto diversi per gli anni precedenti. Migranti, Salvini: “Rivedere accordi con Paesi che non collaborano con i rimpatri”Pubblica sul tuo sito
Perché è così difficile rimpatriare gli irregolari
Stringere accordi con molti Paesi di origine dei migranti è molto difficile, farli rispettare appare ancora più arduo. Si può sintetizzare così la situazione relativa ai rimpatri. Basta prendere come esempio la Tunisia: si tratta di un Paese a noi dirimpettaio, non in guerra e con istituzioni solide che controllano il territorio, con cui quindi stringere accordi in materia di immigrazione sembrerebbe molto più semplice. In effetti già nel 1998 tra Roma e Tunisi è stata siglata un’intesa in materia, che prevedeva anche modalità di rimpatrio dei tunisini nel loro Paese di origine. Accordi poi ripresi più volte, fino al 2017 quando è stato stabilito, tra le altre cose, che dall’Italia potevano partire due voli charter a settimana, il lunedì ed il giovedì, in grado di riportare in Tunisia almeno 40 migranti per volta.
Eppure anche con la Tunisia le cose non vanno per il verso giusto: oltre al dato che vede soltanto il 32.4% dei migranti tunisini con il foglio di via rimpatriato ogni anno, nel luglio scorso la testimonianza di un politico locale ha gettato ulteriore luce sulla vicenda. Oussama Sghaier, deputato tunisino del partito Ennahda, intervistato dall’Agi non ha usato mezzi termini: “Il numero delle persone che il governo italiano sta rimpatriando è minore di quanto prevedono gli accordi – si legge nelle sue dichiarazioni di allora – I voli settimanali dei rimpatri dall’Italia spesso tornano con tanti posti vuoti”. Sbarco a LampedusaPubblica sul tuo sito
E se già emergono problemi con le autorità tunisine, è palese come situazioni ben peggiori possano interessare i rapporti tra l’Italia ed altri Paesi non altrettanto stabili come la Tunisia. Anche in questo caso i dati parlano chiaro: Roma riesce a rimpatriare verso l’Africa soltanto il 15% del totale delle persone raggiunte dal foglio di via. Una percentuale molto bassa, che scende ancora al 7% se si prende in considerazione l’Africa sub sahariana.
Subito dopo il suo insediamento alla Farnesina, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio aveva promesso un piano senza precedenti per i rimpatri. Ad ottobre tale piano è stato presentato assieme al collega ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. In esso era contenuta la volontà di ridurre i tempi di attesa per arrivare all’esame delle domande di asilo, ma era stata inserita anche una lista di 13 Paesi da considerare sicuri per rimpatri più veloci. Tra questi anche Tunisia e Marocco. A distanza di mesi però, di quel piano non si è saputo più nulla. Un ulteriore segno che dimostra quanto sia difficile operare sui rimpatri e di come, sull’immigrazione, convenga sempre intervenire a monte e cioè evitando quanti più sbarchi possibili lungo le nostre coste.
L’assenza conclamata dell’Europa
La strategia politica del Viminale guidato da Luciana Lamorgese, sui rimpatri non è molto dissimile da quanto visto per i ricollocamenti. Si vuole cioè chiedere aiuto a livello comunitario: “La linea dell’Italia per adesso – ha confermato al Giornale.it un funzionario del ministero dell’Interno – è quella di intaccare un meccanismo di solidarietà a livello europeo. È l’intera Unione Europea che deve farsi carico del problema, non può essere soltanto il nostro Paese”.
Dal Viminale confermano che i principali ostacoli ai rimpatri derivano dalle difficoltà di stringere accordi con altri Paesi: “Su questo tema – ha proseguito la fonte del ministero – ci sono molti ostacoli da superare, di natura sia pratica che a livello di diritto internazionale”. Da qui quindi la volontà di chiedere aiuto all’Europa: “Lo stesso ministro Lamorgese è stato chiaro nelle settimane passate: occorre un approccio multilaterale di ordine europeo – ha dichiarato ancora il funzionario del Viminale – In tal modo si potranno effettuare più accordi con i Paesi interessati”. Ma non solo: dal ministero si chiede in auto all’Europa anche in ordine ai rimpatri verso quelle nazioni con cui già un accordo esiste. Questo perché, come proprio in ordine all’accoglienza, il peso del rimpatrio di ogni singolo migrante è in mano al Paese di primo approdo. Una circostanza che sfavorisce l’Italia e le nazioni costiere del sud Europa.
Tuttavia da Bruxelles non sono mai arrivati segnali positivi in tal senso: al momento quella della solidarietà a livello europeo sui rimpatri è soltanto una proposta italiana, che non appare in sede comunitaria tra le priorità da affrontare. Al contrario, l’Europa sull’immigrazione sembra assente ed incapace di comprendere le difficoltà dei Paesi di primo approdo. Difficile quindi attendersi dall’Ue risposte positive, nonostante le emergenze relative all’aumento dei flussi migratori. Una situazione che fa comprendere ancora meno come mai, sia sui ricollocamenti che sui rimpatri, la linea dell’attuale governo giallorosso continui a puntare sull’Europa e su risposte da ottenere dalle istituzioni comunitarie.
E su questo tema il deputato della Lega Eugenio Zoffili appare molto esplicito:“Da quando poi il premier Conte ha deciso di indebitare il nostro Paese- ci ha dichiarato- sottomettendosi ai diktat dell’Europa, temo che di ricollocamenti, quote e collaborazioni sul fronte migrazioni finiranno definitivamente archiviate“.
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