Pilotavano le sentenze in cambio di denaro: condannati ex giudici
Quello che è stato ribattezzato dagli inquirenti come “sistema Trani” è arrivato oggi alla conclusione della prima fase, con una condanna a 10 anni e la confisca di beni per 2,4 milioni di euro inflitta al principale imputato, l’ex pm tranese Antonio Savasta.
Le indagini, portate avanti dai carabinieri di Barletta, sono state coordinate dalla pm Roberta Licci, a cui si è aggiunto successivamente il collega Giovanni Gallotta, entrambi sotto le direttive del procuratore delle Repubblica Leonardo Leone De Castris. Grazie al loro lavoro sono venute a galla le nefandezze del “sistema Trani”, un articolato meccanismo di corruzione che ha visto coinvolti a vario titolo magistrati e imprenditori, con questi ultimi che elargivano denaro, diamanti e monili preziosi con lo scopo di dirottare indagini e condizionare l’esito di processi.
Al termine del rito abbreviato, oltre all’ex pm Savasta sono stati condannati anche altri imputati. Sono 4 gli anni per il sostituto procuratore Luigi Scimè (ex pm di Trani, attualmente in servizio a Salerno), 4 anni e 4 mesi per l’avvocato Ruggiero Sfrecola, 2 anni e 8 mesi per il collega Giacomo Ragno (entrambi operativi presso il foro di Trani). Una condanna a 4 anni è stata inflitta anche all’imprenditore immobiliarista barlettano Luigi Dagostino.
Per la procura della Repubblica di Lecce, un impianto accusatorio la cui validità è stata riconosciuta dal gup Cinzia Vergine, i principali organizzatori del sistema erano Antonio Savasta e l’ex giudice Michele Nardi. Entrambi furono arrestati nello scorso gennaio 2019, insieme all’ex ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro per il reato di corruzione in atti giudiziari e concussione. A differenza degli imputati condannati con rito abbreviato, per gli altri 5 che mancano all’appello, tra cui appunto Nardi e Di Chiaro, si procede parallelamente con rito ordinario.
Sono 14 in tutto i capi di imputazione contestati a Savasta: per lui associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, calunnia, falso in atto pubblico, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale ed induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Anche per Scimè la grave accusa di corruzione in atti giudiziari, a causa delle presunte tangenti incassate dall’imprenditore Flavio D’Introno. Il legale Giacomo Ragno è stato condannato invece per falsa testimonianza e concorso in calunnia e corruzione: avrebbe ricercato un testimone disponibile a rendere false dichiarazioni in un procedimento penale. Al collega, avvocato Ruggiero Sfrecola, sono stati contestati i reati di concorso in corruzione e falso.
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