Dieci motivi per non inginocchiarsi ai talebani di Black lives matter
Roma, 9 lug – Il cuore dell’ideologia che anima gli antirazzisti di Black lives matter è il seguente: i bianchi sono colpevoli e oppressori per natura, e hanno sempre qualcosa da farsi perdonare; le minoranze (soprattutto quella nera) sono vittime e svantaggiate a prescindere, e hanno sempre un risarcimento da pretendere. Fine. Da questo pilastro, che fa parte di un’ideologia più ampia che coincide di fatto con un razzismo antibianco – altro che «antirazzismo» –, derivano poi vari corollari. Citeremo i più importanti: 1) il colonialismo europeo ha portato solo oppressione, distruzione e morte; 2) la cultura europea è etnocentrica, e quindi razzista e discriminatoria.
Che cos’è l’appropriazione culturale?
Ma non è tutto. Percependosi oppressi e tiranneggiati da una civiltà che non è la loro, le minoranze – tra cui la più rumorosa è quella afroamericana – si dicono decise a rifiutare la cultura europea e, anzi, sono diventate gelosissime della loro. È per questo che parlano in continuazione di «appropriazione culturale». Di che cosa si tratta? Facciamo un esempio: se un attivista dei centri sociali si fa un giro per Harlem con i dreadlock, ci sono ottime possibilità che passi un brutto quarto d’ora. Il motivo? Si è «appropriato» di un prodotto culturale delle minoranze.
Dieci ragioni per non cedere al ricatto
C’è un problema: qualcosa non torna affatto in questo continuo ricatto morale degli antirazzisti in servizio permanente effettivo. Quando un afroamericano vi accusa di «appropriazione culturale», o un immigrato senegalese vi rinfaccia la vostra barbarie coloniale, in realtà non tiene conto che:
- Quando scrive, lo fa usando i caratteri latini, inventati dai Romani, popolo europeo e imperiale per eccellenza.
- Quando fa di conto, utilizza i numeri indo-arabi (esatto: pure i numeri li ha inventati un popolo indoeuropeo, per poi giungere ai nostri amici islamici).
- Quando compra un libro, lo può fare perché Gutenberg inventò i caratteri a stampa. Ah, Gutenberg era tedesco, non nigeriano.
- Quando fa una foto con il suo smartphone, probabilmente non sa che la fotografia è nata grazie a Niépce e Daguerre, due francesi (e quindi europei).
- Se poi con lo smartphone addirittura ci telefona, allora sta usando un’invenzione dell’italiano Antonio Meucci (certo, Bell si è appropriato della gloria di Meucci, ma era comunque un anglosassone e non portava i dreadlocks).
- Quando guarda un film, dovrebbe ringraziare altri due francesi, i fratelli Lumière, che peraltro avevano delle simpatie un po’ sospette per un noto dittatore con i baffetti.
- Quando apre un conto in banca, è debitore di altri italiani, che per primi hanno fondato gli istituti di credito. Il più antico è il Monte dei Paschi di Siena, poi mandato in rovina dal Pd (ma questa è un’altra storia).
- Quando si iscrive all’università, deve ringraziare un imperatore tedesco (Barbarossa), che fondò il primo ateneo della storia in Italia, a Bologna. Era il 1088.
- Se all’università ci va in automobile, allora si è appropriato di una invenzione di Cugnot (francese) e Manzetti (italiano). E il calesse, diciamocelo, è demodé e anche un po’ scomodo.
- Se può tornare in Africa in aereo, senza più dover viaggiare in catamarano, allora dovrebbe erigere ai fratelli Wright un bel monumento, invece di abbatterlo.
Insomma, cari talebani dell’antirazzismo, chi è che fa «appropriazione culturale»?
Valerio Benedetti