Quando il Dalai Lama disse: “Durante la guerra tifavo Italia e Germania”
Roma, 6 lug – “Durante il secondo conflitto mondiale parteggiavo per Germania e Italia”. Così il Dalai Lama, che oggi compie 85 anni, durante una video intervista del 1999 a Dharamsala spiegò la sua “istintiva” simpatia nei confronti di due nazioni “attaccate dai potenti del mondo”. “A quel tempo c’era la guerra, io mi immagino la Germania e l’Italia come due piccoli Stati attaccati da tutto il resto del mondo. Due piccole nazioni che stavano da una parte, mentre dall’altra c’erano i grandi come la Francia, l’Inghilterra, l’America, la Russia. Li vedevo così – disse il Dalai Lama – circondati da vicini molto più forti e potenti. E naturalmente parteggiavo per loro, per un’istintiva simpatia verso i più deboli”.
Il Dalai Lama non stupisce
Può sembrare sorprendente che la massima autorità del buddhismo tibetano, la manifestazione terrena del bodhisattva cosmico Avalokiteśvara (il bodhisattva della compassione) abbia ammesso candidamente che al tempo non stava dalla parte dei “buoni”. Ma come, proprio chi invita allo sforzo quotidiano per raggiungere uno stato di pace perfetta e di perfetta felicità (un premio Nobel per la Pace, oltretutto) tifava per i “cattivi” della storia? In realtà no, non stupisce più di tanto. Posto che nel 1945 il “maestro oceanico”, chiamato anche Gyalwa Rinpoche (prezioso conquistatore), aveva appena 10 anni, il suo Tibet non era certo minacciato da Italia e Germania.
E’ superfluo ricordare che fu poi la Cina maoista a invadere, saccheggiare e distruggere decine di monasteri del Tetto del Mondo. Così come è in qualche modo scontato ricordare le spedizioni naziste e “I sette anni in Tibet” di Heinrich Harrer. Un po’ meno lo sarebbe, vista la scarsa memoria di casa nostra, comprendere altri profondi rapporti, iniziati con le prime spedizioni di Giuseppe Tucci e proseguiti con il lavoro svolto dal suo Ismeo, l’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente fondato dal massimo orientalista del novecento insieme a Giovanni Gentile. Il punto è però un altro: il Dalai Lama non è mai stato un pacioso emblema della contemplazione passiva come pretenderebbe qualche divo di Hollywood. Non è neppure un sornione e sorridente leader spirituale, o almeno non è soltanto quello. Perché anche se ormai i Buddha finiscono da anni sopra i comodini dello “spiritismo” new age dei fricchettoni di mezzo mondo, il Dalai Lama resta un capo politico, monarca assoluto in esilio del Tibet.
Altro che Magic Shop
Il Magic Shop di Battiato ci aiuta insomma a comprendere le derive del laicismo che ha trasformato il sacro in simulacri di plastica, non l’ancestrale potenza del Paese delle Nevi. E così gli apologeti del pensiero unico unidimensionale continueranno a strabuzzare gli occhi ogni volta che leggeranno le affermazioni “scomode” del Dalai Lama. E non parliamo soltanto di riflessioni storiche da contestualizzare. Sull’attualità la massima autorità tibetana ha mostrato difatti di non seguire propriamente i dettami politicamente corretti. “L’Europa appartiene agli europei. Credo che gli immigrati dovrebbero tornare nella loro terra”, disse nel giugno 2019 durante un intervento a Malmo, in Svezia. Mollate le statuette di plastica signori, vedrete solo mandala sfuggenti. E le vostre certezze svaniranno d’un tratto.
Eugenio Palazzini