Governo, i ministri Alfonso Bonafede, Teresa Bellanova e Dario Franceschini combinano solo guai. Il loro lavoro è dannoso
Per grazia ricevuta, gli altri ministri dovrebbero accendere un cero a Lucia Azzolina. Con la grillina in campo tutti i giorni, impegnata a sfasciare ciò che resta della scuola, la palma del peggiore ha un vincitore assicurato. Ed è un peccato, perché il governo giallorosso abbonda di talenti incompresi le cui performance rischiano di passare inosservate, eclissate da quelle della collega che promette di riempire gli imbuti e legifera sulle «rime buccali» degli studenti. Rendere giustizia a tutti è impossibile, ma almeno tre statisti meritano una menzione particolare per il contributo fornito al declino del Paese. Dario Franceschini è il primo di loro, per età (61 anni), curriculum (ex segretario del Pd e quarta esperienza da ministro) e ambizioni, visto che mira nientemeno che a rimpiazzare Sergio Mattarella. Succede, infatti, che un venerdì sera di fine giugno, mentre gli italiani pensano ad altro e il resto del governo si accapiglia sull’ipotesi di ridurre l’Iva per smuovere i consumi, Franceschini vari un decretino che aumenta l’unico balzello sul quale ha potestà: il compenso per copia privata. È il reperto di un’epoca precedente a YouTube e Netflix, in cui i ragazzini usavano gli strumenti elettronici per riprodurre musica e film scaricati illegalmente. Fu introdotta allora la presunzione di colpevolezza: chi acquista qualunque dispositivo capace di memorizzare dati deve pagare qualcosa in più, che lo Stato gira alla Siae, a presunto risarcimento degli autori. Oggi tutti usano il legalissimo streaming, però Franceschini finge di non saperlo. E così «rimodula», cioè aumenta, il prelievo che dovrebbe cancellare, come ha fatto l’altra sera. Il risultato? Ad esempio, il “compenso” sull’acquisto di un telefono cellulare o di un tablet di fascia alta, con memoria superiore ai 128 gb, sinora è stato pari a 5,20 euro: adesso sale a 6,90 euro. Geniale la mossa sui dischi fissi esterni di ampia capacità: il prelievo che era di 20 euro passa a 18, così Franceschini può dire che l’ha ridotto. Peccato che rispetto al 2014, quando fu introdotta la vecchia gabella, il prezzo di queste memorie si sia più che dimezzato, e dunque la quota incamerata dallo Stato risulti doppia. Il sito di tecnologia Dday ha calcolato che le nuove regole garantiranno, «come minimo per i prossimi tre anni, 120-130 milioni di euro di raccolta annua». Con tanti ringraziamenti al futuro capo dello Stato. Il secondo ministro che sarebbe ingiusto ignorare è Teresa Bellanova. Quando la regolarizzazione degli immigrati da lei voluta divenne legge, la renziana pianse di gioia e declamò la profezia: «Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili». Un’inchiesta tra i lavoratori di Caserta, apparsa ieri su Il Manifesto, racconta cosa è successo davvero: «La sanatoria di braccianti e colf migranti è una norma criminogena. Come ogni volta che si mettono in moto questi meccanismi, sbucano gli italiani pronti a speculare vendendo contratti falsi per 4, 5mila euro». Non bastasse, dopo il Covid «sono arrivati gli usurai a offrire i soldi a strozzo ai migranti per comprare contratti falsi per provare a ottenere un permesso che li regolarizza per soli sei mesi». Ovviamente il quotidiano comunista racconta tutto ciò per spingere verso una sanatoria più ampia e incondizionata, ma intanto la situazione è questa. E la Bellanova ha nuovi e diversi motivi per piangere.
Grandi aspettative tradite, come quelle che Alfonso Bonafede aveva suscitato a Bari. Il tribunale del capoluogo pugliese è la sfida-simbolo del guardasigilli grillino. Quando si insediò, il vecchio Palagiustizia era a rischio crollo e alcune udienze si svolgevano sotto le tende. Lui si presentò con piglio decisionista, fece chiudere la tendopoli sospendendo i processi (facile, così) e assicurò rapida soluzione: «Siamo a lavoro per dare agli uffici giudiziari una sede sicura e capace». Sono passati due anni. E ora si scopre che per la costruzione del nuovo polo della giustizia è tutto fermo. Manca il via libera allo studio di fattibilità, del quale gli uffici di Bonafede si sarebbero dovuti occupare a marzo in una riunione che è saltata a causa del Covid e non si è più tenuta. Alla faccia della priorità. Il sindaco di Bari gli chiede di svegliarsi e nominare un commissario, ma il guardasigilli non dà segnali. Intanto gli edifici provvisoriamente usati per le udienze stanno cedendo e torna lo spettro della tendopoli: sarebbe il coronamento perfetto del mandato di Bonafede, il ministro che ha dato il colpo di grazia alla giustizia.