La promessa tradita di Ursula Von der Leyen

“Subito dopo la Pasqua, la Commissione europea si riunirà per dare vita ad un nuovo piano migratorio comunitario”. Con queste parole il presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen aveva preannunciato un piano volto ad ammodernare lo stallo migratorio in entrata dell’Unione europea, alla vigilia di una crisi pandemica e di nuovi flussi migratori che avevano messo a dura prova i confini della comunità. Siamo arrivati però quasi a luglio e di quella promessa, per adesso, non se n’è intravista nemmeno l’ombra, lasciando i migranti ed i Paesi di confini nella giungla della burocrazia di Bruxelles che ha generato le problematiche attuali dal trattato di Dublino in avanti. E se l’operato di Ursula andasse valutato in questi primi mesi dall’insediamento, purtroppo, le premesse risultano essere decisamente deludenti.

In situazioni di crisi servono misure efficaci

È inutile tentare di nascondersi – come molto spesso fanno i Paesi del blocco settentrionale – dietro a trattati stipulati in contesti e in periodi completamente diversi da quelli attuali. Che gli accordi di Dublino fossero vetusti non è una notizia dell’ultima ora, risalendo a un periodo nel quale i flussi migratori in entrata erano ben differenti da quelli degli ultimi sei anni. E adesso, con l’aggiunta di una crisi sanitaria da gestire, il loro cambiamento è diventato una necessità: sia nella tutela dei diritti dei migranti sia nella tutela dei diritti dei Paesi di frontiera, gli unici che geograficamente possono subire il dramma peggiore dettati dall’emergenza umanitaria.

Tuttavia, nonostante le promesse Ursula non è riuscita ancora a giungere ad una bozza di documento che possa mettere d’accordo tutti i rappresentati dei Paesi aderenti all’Unione europea. Sicuramente un compito non facile che, però, non è stato nemmeno svolto in una sua singola parte, lasciando Italia e Grecia ancora una volta a sé stesse, sperando che possano reggere il più a lungo possibile.

Frontiere chiuse anche per i migranti

A complicare il problema della ripartizione delle quote in questi mesi si è messo di traverso anche il lockdown: in fondo, se le frontiere interne sono serrate agli stessi beneficiari di Schengen, è normale che ciò sia esteso anche ai richiedenti asilo. Con la graduale riapertura si sarebbe pensato però ad una maggiore collaborazione, considerando gli sforzi che Roma ed Atene hanno compiuti da soli in questi durissimi mesi mentre si trovavano ad affrontare – soprattutto nel caso italiano – l’emergenza dettata dalla pandemia di Covid-19. Adesso, però, è giunto il momento che qualcosa si muova a Bruxelles e che venga fatta pressione sulla stessa Ursula affinché tenga fede – almeno in parte – alle promesse fatte ai Paesi dell’Europa meridionale negli scorsi mesi.

La situazione rischia di andare fuori controllo

Sono molte le problematiche da affrontare a livello mondiale a seguito del passaggio della pandemia e spaziano dall’ammodernamento del sistema sanitario alla necessità di dare impulso all’economia. Misure estreme se rapportate a pochi mesi addietro e che comportano sforzi notevoli, i quali rischiano di essere danneggiati da una politica migratoria vetusta che lascia la gestione dei migranti quasi esclusivamente alle frontiere dell’Europa.

In questo scenario, infatti, a subirne le conseguenze sarebbero ancora una volta l’Italia e la Grecia, costrette ad aggiungere alla lista delle spese anche quelle necessarie a garantire la sicurezza dei flussi migratori e che potrebbero – o dovrebbero – essere maggiormente ripartite tra i vari Paesi. Soprattutto, se si considerano i rischi stessi dell’accoglienza in questo periodo di crisi sanitaria, che come già accaduto potrebbero portare alla nascita di focolai difficili da controllare se non rilevati in tempi utili, generando conseguenze facilmente immaginabili. E in questo scenario, se ciò accadesse, a pesare saranno ancora una volta gli egoismi dell’Europa, concentrata più sul tenere in sordina la situazione rispetto all’agire per migliorarla.

il giornale.it

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