Di Matteo: “Le carriere dei magistrati decisa in base alla corrente ricordano il metodo mafioso” (video)
“Privilegiare nelle scelte che riguardano la carriera di un magistrato il criterio dell’appartenenza a una corrente è molto simile al metodo mafioso“. Così il magistrato Nino Di Matteo sulla bufera che ha investito la magistratura dopo l’emersione delle conversazioni tra Luca Palamara e altri colleghi. Nuovamente ospite a Non è l’Arena di Massimo Giletti, Di Matteo ha sottolineato come “la valutazione del lavoro di un magistrato o le nomine fatte per incarichi direttivi nei confronti di un magistrato condizionati dal criterio dell’appartenenza sono assolutamente inaccettabili”. Ed è tornato su un episodio che lo ha riguardato personalmente, soffermandosi proprio sull’atteggiamento di Palamara.
Di Matteo: “Io fuori dal pool? Palamara fu molto soddisfatto”
Di Matteo ha ricordato l’intervista in occasione dell’anniversario della strage di Capaci che gli costò il posto nel pool. “Mi limitai – ha detto – a ricostruire una serie di elementi consacrati in sentenze definitive o comunque ampiamente pubblici perché processualmente depositati a disposizione delle parti”. Quegli elementi, ha proseguito Di Matteo, “messi insieme l’uno agli altri spiegavano perché la Procura nazionale antimafia aveva sentito il dovere di continuare ad approfondire il tema dell’eventuale partecipazione di soggetti non mafiosi al concepimento all’organizzazione e all’esecuzione della strage di Capaci”. “Non ho rivelato assolutamente nulla di segreto. Non ho anticipato nessuna attività investigativa, che avremmo potuto fare in futuro”, ha precisato il magistrato, ricordando che però arrivò la sua estromissione dal gruppo stragi. Poi il dettaglio su Palamara. “Ho verificato dagli atti dell’indagine di Perugia che il dottor Palamara, prima che avvenisse questa esclusione, si era – diciamo – lamentato del fatto che io facessi parte di questo gruppo stragi entità esterne. Poi, nel momento in cui divenne nota la mia estromissione, accolse la notizia – diciamo – con molta soddisfazione, non devo essere io a dire cosa penso”.
La scarcerazione dei boss? Un “segnale devastante”
Ma nel corso della trasmissione Di Matteo è tornato anche sul tema della sua mancata nomina al Dap, sottolineando che “quella è una vicenda istituzionale. Quello che umanamente ho provato io non conta nulla me lo tengo per me”. Sul perché poi l’incarico sia saltato “mi sono dato delle spiegazioni, ma non sarebbe serio se le spiegazioni le fornissi, perché sono le mie spiegazioni”. Infine un passaggio sulla scarcerazione dei boss a causa della pandemia, che è stata “un segnale devastante”. “E’ un segnale che viene colto dalla maggior parte della popolazione come un segnale di impunità per un mafioso o comunque un segnale di speranza anche per chi è stato condannato più volte. Anche il peggiore dei mafiosi ha diritto alla tutela della sua salute. Ma lo Stato ha il dovere di fare di tutto perché la salute del detenuto resti tutelata all’interno delle strutture detentive. Il segnale è devastante dal punto di vista simbolico e il ritorno a casa – ha concluso Di Matteo – è idoneo a produrre effetti pericolosi per il futuro”.