“Ma quale martire, Floyd era un criminale”. Il video dell’afroamericana pro Trump fa impazzire i liberal
Roma, 5 giu – E’ giusto dipingere l’afroamericano George Floyd come un martire? E’ giusto mettere a ferro e a fuoco una nazione per protestare contro la sua morte? Se lo stanno chiedendo – ovviamente sottovoce – in molti; per chi, invece, mostra il coraggio di porsi pubblicamente la questione, è bell’e pronta la graticola del politicamente corretto, messa in piedi dal fronte oceanico – o baraccone – dei bianchi soggiogati dal white guilt e delle minoranze etniche in preda agli afflati rivoluzionari. Se poi chi esprime dubbi sulla santità dell’afroamericano rimasto vittima delle forze dell’ordine di Minneapolis è una donna nera, per di più di tendenze conservatrici, apriti cielo: il minimo che le può capitare è quello di sentirsi chiamare house nigger, negro da cortile, condito da i soliti insulti a sfondo sessista e alle minacce di morte e di stupro – che in questo caso non offendono nessuno, perché il target non è di estrazione liberal-progressista.
E’ successo all’attivista conservatrice e afroamericana Candace Owens, che ad essere etichettata come house nigger ormai ci ha fatto il callo da anni, e la cosa, evidentemente, non la turba e non la smuove minimamente dalle proprie convinzioni. Proprio la Owens, fondatrice della Blexit, movimento che si propone di «liberare gli elettori neri dalle grinfie del Partito Democratico» è infatti intervenuta contro la martirizzazione di Floyd operata da media e istituzioni progressiste in tutto il mondo, postando un video di 18 minuti in cui espone i propri dubbi in merito.
«Non mi devo scusare per nulla. George Foyd non è il mio martire. Può essere il vostro, forse», attacca nel filmato, nel quale condanna apertamente gli agenti coinvolti nell’omicidio augurandosi che vengano adeguatamente puniti per il crimine commesso. «Tutti fingono che quest’uomo conducesse uno stile di vita “eroico”», prosegue. «Siamo fonte di imbarazzo per noi stessi. Nessuno vuole dire la verità a riguardo». La verità che tutti i media conoscono e che tutti, ostinatamente, si rifiutano di portare alla luce è che Floyd era stato condannato per ben 5 volte a una pena detentiva e che nel 2007 aveva fatto irruzione nella casa di una donna incinta e l’aveva minacciata puntandole la pistola sulla pancia. Il giorno della sua morte Floyd era strafatto di fentanyl e metanfetamine. Non proprio l’attitudine da angelo vendicatore dei torti subiti dagli afroamericani che tutti gli hanno voluto affibbiare dopo la morte.
Per tutte queste dichiarazioni la Owens ha ricevuto il solito trattamento riservato ai neri «traditori», quelli cioè che non si fanno monopolizzare dalla vulgata progressista: accuse di essere il cagnolino da grembo dell’uomo bianco, minacce di morte e di stupro, provenienti dal fuoco incrociato di afroamericani infuriati e dei liberal dalla bianchissima pelle; i quali, in modo più arrogante e suprematista del più suprematista dei bianchi, sono letteralmente impazziti alla vista di una donna afroamericana che non la pensa come dicono loro.
Cristina Gauri