Smantellare l’industria pubblica: ecco il “Piano Colao”
Roma, 2 giu – Pensavate che la task force guidata dall’ex ad di Vodafone Vittorio Colao fosse caduta nel dimenticatoio? Tutt’altro. Ha continuato, in silenzio, a lavorare. Rispettando, nell’epoca della politica che ha abdicato in favore dei tecnici, quasi perfettamente le più fosche previsioni fatte a suo tempo.
Così il Piano Colao commissaria l’Italia
In sede di presentazione del gruppo di esperti chiamati a guidare la transizione economica dopo la fine delle restrizioni dovute alla pandemia avevamo denunciato la scelta di un bocconiano, avanzando il dubbio che fosse stato in qualche chiamato modo a commissariare quel che rimaneva dell’economia italiana. Così in effetti è andata, almeno a giudicare dalle anticipazioni – pubblicate da MilanoFinanza – che emergono in merito alle proposte del già ribattezzato “piano Colao”.
Passato un po’ sotto silenzio, salvo alcune lodevoli eccezioni, il piano sembra partorito da un ibrido fra Cottarelli e Monti. Posto che si tratta solo di indiscrezioni, traccia comunque la linea di dove si vuole andare a parare. Gli obiettivi sono sempre i soliti: puntare all’innovazione, incentivare l’industria 4.0, aumentare le attività di ricerca e sviluppo. Scopi nobili ma allo stesso tempo escludenti, dato che non tutte le attività produttive possono ricadere all’interno di queste casistiche che, stando alle bozze che circolano, saranno quelle premiate dal piano Colao. Insomma, una sorta di darwinismo economico per giustificare i clamorosi ritardi – ma a questo punto si affaccia una precisa volontà politica – nei sostegni a fondo perduto, quei (pochi) che arriveranno con il famoso decreto aprile (varato a maggio) ma che è, a questo punto, lecito supporre saranno anche gli unici concessi.
Non sorprenderà, a questo punto, che la task force stia ragionando ad una riforma della legge fallimentare. Si parla di snellire le procedure – potrebbero essere centinaia di migliaia nei prossimi mesi – per addivenire entro sei mesi al risanamento o, più probabilmente, alla cessione o liquidazione dell’attività.
Nel mirino le partecipate pubbliche e l’oro di Banca d’Italia
Non avessimo già toccato il fondo, si comincia a scavare nel momento in cui il piano Colao si addentra nei tecnicismi relativi alle modalità di finanziamento delle misure proposte. Esclusa – per motivi che non è dato sapere – la possibilità di attingere alla leva fiscale, quindi della spesa pubblica (ciò che, per inciso, sta facendo il mondo intero: fuori dall’eurozona anche con il sostegno diretto delle proprie banche centrali), la task force ha pensato ad un originalissimo fondo nel quale far confluire tutti i gioielli di famiglia.
A questo fondo verranno così conferiti a garanzia immobili di proprietà pubblica, le partecipate statali, titoli, si parla persino delle riserve auree di Banca d’Italia. Obiettivo raccogliere una massa critica per dotare lo stesso di un capitale tra i 100 e i 200 miliardi, con quote del fondo messe sul mercato per raccogliere le risorse da convogliare poi verso le imprese più innovative di cui si è detto.
Casomai non fosse chiaro, stiamo parlando di una privatizzazione mascherata: l’ennesima proposta di cui non si sentiva affatto il bisogno, tanto più in un momento in cui il rendimento delle partecipate pubbliche – oltre a rivestire un carattere strategico – è sensibilmente superiore rispetto al costo del finanziamento dello Stato, da anni fermo ai minimi storici. La differenza è la perdita netta che si registra nel lungo termine: se già di suo non c’è alcuna convenienza a disfarsene, diventa una svendita a saldo ai corsi attuali, che non è detto recuperino nel breve/medio termine visti i chiari di luna che è lecito attendersi in futuro. Soprattutto se il piano Colao verrà tradotto in realtà.
Filippo Burla