Virus, il mistero sulla clorochina. Gli scienziati sbugiardano l’Oms
Che ci fosse qualcosa di strano si era capito dalla rapidità con cui l’Organizzazione mondiale della sanità si è scagliata contro l’uso della clorochina e dell’idrossiclorochina nella lotta contro il Covid-19.
È bastata una ricerca pubblicata su Lancet per sospenderne l’uso nei trial clinici e spingere le autorità nazionali, da quella francese all’Aifa italiana, a seguire a ruota la decisione di Ginevra. Eppure non tutti sono propensi a demonizzare i farmaci anti-malarici.
Nei giorni scorsi, ilGiornale.it vi aveva raccontato la perplessità di Luigi Cavanna, primario di oncologia e padre del “Metodo Piacenza”, sulla decisione dell’Oms. “Anche tanti medici l’hanno assunta – aveva detto – Non farà testo, ma vuol dire che credevano in questo farmaco. E poi ci sono centinaia se non migliaia pazienti che l’hanno presa”. Nessuna complicanza particolare, un medicinale conosciuto “da decenni” e già utilizzato sia contro il lupus che l’artrite reumatoide, poco costoso (sarà un caso?) e a quanto pare in grado di spegnere l’infiammazione prodotta dal coronavirus. Insomma, un prodotto “molto più sicuro di quanto non si voglia far credere”. Presto Cavanna pubblicherà una ricerca per raccontare gli effetti dell’idrossiclorochina sui suoi pazienti e su quelli di altri ospedali italiani, anche per cercare di convincere l’Aifa a rivedere le proprie posizioni. Ma intanto ci si concentra sul perché, e su come, sia nata l’avversione dell’Oms contro il farmaco anti-malarico.
Come detto il punto zero di questa vicenda è una ricerca pubblicata su Lancet che avrebbe rivelato “un aumento di rischio per reazioni avverse” su chi assume clorochina “a fronte di benefici scarsi o assenti” . “La prima osservazione è questa – aveva spiegato Cavanna – Lancet è certamente una rivista prestigiosa ed affidabile, tuttavia quello pubblicato è uno studio di registro. Ha cioè analizzato i dati di 671 ospedali di 6 continenti e valutato gli effetti del farmaco sui malati, però ha molti limiti dal punto di vista procedurale. In genere i governi e gli enti preposti si basano su studi randomizzati di fase 3 e da lì traggono conclusioni per mettere in commercio o meno un farmaco. E quello di Lancet non è uno studio randomizzato di fase 3”. Anche l’Aifa, nel comunicato in cui spiegava i motivi per cui si è adeguata alle scelte dell’OMS, ammetteva di trovarsi di fronte a “studi osservazionali o trial clinici di qualità metodologica non elevata”. Ma adesso ci sono anche 120 ricercatori e medici di tutto il mondo a criticare la ricerca in questione, dando spinta a chi invece vorrebbe continuare ad utilizzare il medicinale.
Lo studio finito su Lancet ha osservato 15mila pazienti con Covid-19 che hanno assunto il farmaco, confrontandoli con oltre 81mila malati che invece non l’hanno ricevuto. Le conclusioni dicono che con la clorochina si muore di più e si rischiano complicazioni cardiache. Tuttavia già giovedì scorso il Guardian Australia aveva sottolineato che i dati pubblicati nella ricerca non combaciavano con quelli in possesso al dipartimento sanitario. Poi dalla Columbia University erano arrivate critiche alla modellizzazione statistica. E infine i 120 studiosi firmatari della lettera aperta a Lancet ora sollevano “preoccupazioni sia metodologiche che di integrità dei dati”. ”Gli autori non hanno aderito alle pratiche standard della comunità di machine learning e di statistica”, si legge nella lettera. Le critiche sono queste: “Non hanno rilasciato il loro codice o i loro dati”; “Non c’è stata una revisione etica”; “Non c’è stata alcuna menzione dei Paesi o degli ospedali che hanno contribuito alla fonte dei dati e nessun riconoscimento ai loro contributi”. E poi non mancano dubbi sui dati dall’Africa, sulle dosi medie di idrossiclorochina somministrata (di 100mg superiori a quelle raccomandata dalla Fda, sebbene il 66% dei dati provengano da ospedali nordamericani), sui “rapporti non plausibili tra clorochina e idrossiclorochina in alcuni continenti” e su quegli intervalli di confidenza al 95% che appaiono “incompatibili con i dati”. Insomma: troppe incognite per uno studio che ha influenzato così tanto i media e le scelte di politica sanitaria mondiale, preoccupando – tra l’altro – anche i pazienti che partecipano agli studi randomizzati controllati.
Non si può allora che tornare a quel dubbio sollevato da Cavanna, e cioè che sulla idrossiclorochina si stia giocando una partita più politica che medica. Non solo la decisione di Trump di assumerlo a scopo preventivo e le relative proteste degli anti-trumpiani. Ma anche il fatto che si tratta di un farmaco già conosciuto, e poco costoso. “In un sistema in cui tutto è basato sul costo – diceva l’oncologo – magari si spinge su farmaci che hanno un prezzo diverso…”.
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