È golpe “toche rosse”. Con l’affaire Palamara hanno messo le mani sulle nomine eccellenti
Si può andare al di là del mercato delle nomine, degli accordi tra correnti per favorire non il migliore ma il più fedele, delle manovre spartitorie al Csm.
Perché il caso dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, oltre a confermare quel che sapevano tutti, fotografa il passaggio da un accordo della corrente centrista di Unicost con quelle di sinistra di Area ad uno inedito con i moderati di centrodestra di Magistratura indipendente.
Frutto di questo nuovo equilibrio è la nomina a vicepresidente di Palazzo de’ Marescialli di David Ermini, avvocato toscano, renziano di ferro e già responsabile giustizia del Pd. Dalle chat e dagli sms intercettati dagli investigatori di Perugia emergono gli accordi, i sondaggi, le cene per spianargli la strada, soprattutto quella a casa del laico del Pd Giuseppe Fanfani con Palamara, il leader di MI e deputato dem (ora di Italia Viva) Cosimo Ferri e il collega renziano Luca Lotti. Il 27 settembre 2018 è tutto uno scambiarsi complimenti e grida di vittoria tra Palamara, l’interessato ed altri per l’elezione. Unicost, MI e un pugno di laici hanno affondato il candidato del M5S Alberto Maria Benedetti, appoggiato dalle correnti di sinistra. Il patto sigillato tiene e lo dimostrano nei mesi successivi i traffici sulle nomine dei dirigenti in toga. Area si trova tagliata fuori e si avvicina alla corrente di Piercamillo Davigo, Autonomia e indipendenza, grazie al comune denominatore giustizialista. E quando a marzo 2020 si arriva alla nomina più importante, quella alla procura di Roma per cui tanto brigavano Palamara & co, Davigo che in commissione aveva votato Marcello Viola di Mi si sposta su Michele Prestipino, il candidato di Area. Le rivelazioni del trojan inserito nel cellulare di Palamara e dopo la perquisizione il sequestro dell’apparecchio con tutte le sue chat fanno saltare l’operazione congegnata con Ferri per la nomina di Viola. E il nuovo fronte di sinistra, grazie allo scandalo, può tornare al potere.
Davigo, che un paio di giorni fa ha fatto scalpore dicendo che per giudicare non c’è bisogno di aspettare una sentenza e aggiungendo una excusatio non petita sul fatto che solo una volta ha accettato un passaggio in auto da Palamara, ora è nella sezione disciplinare che «processerà» il pm, sospeso dal Csm, mentre l’inchiesta di Perugia va avanti con l’archiviazione però dell’accusa più grave di corruzione, rivelatasi infondata per gli stessi investigatori. Si tratta dei 40mila euro per favorire la nomina (mai avvenuta né proposta in commissione) del pm di Siracusa Giancarlo Longo a procuratore capo di Gela.
Resta al suo posto Ermini e tutto il Csm, «rinnovato» dalle dimissioni dei 5 consiglieri coinvolti e confortato dall’intervento di venerdì del suo presidente Sergio Mattarella, che spiega di non avere il potere di scioglierlo (salvo che per mancanza di numero legale, per assicurarne il funzionamento).
Il Quirinale viene lambito dallo scandalo quando compare nelle chat il nome di Stefano Erbani, consigliere giuridico del presidente della Repubblica ed esponente di Area. Ferri lo cita a Palamara tra le fonti che confermerebbero l’uso di un trojan per ascoltarli (Erbani ha smentito) ma un presunto attivismo nel Csm per nomine e manovre varie risulta anche dalla chat con Palamara di Valerio Fracassi, capogruppo di Area a Palazzo de’ Marescialli. «Erbani non può imperversare così», si spazientisce Fracassi il 27 marzo 2018. E sarebbe lui il magistrato che, per il suo ruolo, informa Mattarella della vicenda scoppiata.
È al Csm anche Giuseppe Cascini, leader del gruppo di Area, che con Palamara ha gestito la giunta dell’Anm, lui come segretario, l’altro come presidente, dal 2008 al 2012, impegnati sul fronte anti berlusconiano. Lui è tra i pm di Roma che trasferirono a Perugia le carte su Palamara, ma nelle carte compare anche il suo nome quando si parla di pressioni su Sergio Calaiocco perché abbandoni la corsa a procuratore aggiunto di Roma, per far nominare Cascini. Lui naturalmente smentisce ogni commistione o scambio di favori. Fatto sta che era collega di Palamara alla procura di Roma e visse dall’interno l’inizio dell’inchiesta, da quella di Messina su sentenze pilotate del consiglio di Stato, con lo scontro tra il capo Pignatone, il pm Paolo Ielo e il titolare dell’indagine Stefano Fava, cui tolgono il fascicolo con seguito di esposto al Csm.
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