Palamara, Alfonso Bonafede e la sua “riforma” della giustizia: tutto il potere al Csm. Le chat delle toghe “ignorate”
Alla luce del verminaio scoperchiato dalle intercettazioni di Luca Palamara e dei suoi amici magistrati, la riforma studiata dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede solleva un dubbio: il grillino, già travolto dallo scandalo delle scarcerazioni facili per i boss mafiosi e dalle accuse del procuratore Nino Di Matteo, pare non aver capito un granché di quello che accade nel Csm e e toghe italiane.
“Ventiquattro articoli, un profluvio di commi e di rimandi a volte oscuri, e un risultato finale fin troppo chiaro: dare ancora più potere al Consiglio superiore della magistratura”, sintetizza caustico Luca Fazzo sul Giornale. Grazie alla riforma, il Csm avrà un potere-chiave: “Controllare di fatto la vita delle Procure della Repubblica”. Occhio all’articolo 3: “Di fatto – spiega Fazzo -, al Csm viene dato un potere di supervisione e di controllo sul funzionamento degli uffici che rappresentano la pubblica accusa sul territorio, compresi gli strumenti che garantiscono di fatto il controllo delle inchieste: ‘i criteri di assegnazione dei procedimenti’ e i ‘criteri di priorità nella trattazione degli affari'”. Addio, dunque, alla piena autonomia per i capi delle Procure. Ovviamente, nelle riforme non c’è spazio per la separazione delle carriere. Di più: “Nel nuovo meccanismo elettorale del Csm, scompare la divisione tra le due categorie: finora i pm eleggevano i pm, i giudici eleggevano i giudici. Ora si parla solo di ‘magistrati’, come a rafforzare il principio che accusa e sentenza facciano parte dello stesso lavoro”. Sarà lieto Piercamillo Davigo, sempre più ministro-ombra.