Sansonetti spietato: «Travaglio ha imposto la sua legge, giornalisti agli ordini dei magistrati»
«Non sorprende, almeno a me, che i grandi giornali siano agli ordini, non subalterni, ma agli ordini, dei pm. A me sorprende il silenzio, che su questa vicenda non sia uscito nulla: la notizia è questa. Eppure dentro ci sono i nomi più prestigiosi». Comincia così l’intervista rilasciata da Piero Sansonetti al quotidiano Libero, a proposito delle “grandi firme”, così le ha chiamate nei giorni scorsi, della cronaca giudiziaria italiana che compaiono nelle intercettazioni della procura di Perugia che indaga, fra gli altri, sull’ex consigliere del Csm Luca Palamara. «Per anni – spiega Sansonetti – questi giornalisti si sono limitati a firmare le intercettazioni in arrivo dalle procure e adesso, solo perché c’è il loro nome, tacciono? A me non interessa, ma loro, che vivono di relata refero, dovrebbero pubblicarle». E invece non lo fanno, aggiunge, «perché sono una casta, proprio come i magistrati: sono due facce della stessa medaglia. Perché il giornalismo italiano dal 1992-’93 ha smesso di esistere, accettando una sorta di vassallaggio nei confronti dei pm. L’indipendenza non esiste: i giornalisti giudiziari sono agli ordini del partito dei pm». Un biennio, quello ’92-’93, nel corso del quale, secondo Sansonetti, «si è aperta la ferita e saldato l’asse coi pm, è allora che nasce il “pool” dei giornalisti che segue le inchieste di Mani pulite. Il contrario di ciò che dovrebbe essere: alla faccia della concorrenza tra colleghi, tutti insieme si mettono agli ordini dei magistrati. E da allora la situazione è peggiorata». Alla domanda se non si tratti solo di giornalismo d’inchiesta, il direttore del Riformista replica: «È inchiesta pubblicare le carte delle procure e dei servizi segreti?».
Sansonetti sul caso Palamara
Quanto al caso Palamara, Sansonetti spiega che a colpirlo di più sono state soprattutto due intercettazioni: «In una Palamara e il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, discutono su come “orientare” La Repubblica, e lo fanno con grande naturalezza, come se il mestiere della magistratura fosse quello di determinare la linea di un quotidiano. Perché questa intercettazione, da parte degli stessi giornali che da anni accettano veline dei pm, non è stata pubblicata?». L’altra «è quella in cui Palamara avanza il sospetto che un illustre giornalista sia legato ai servizi segreti. Cosa sarebbe successo se un’intercettazione simile avesse riguardato un politico, ad esempio Gualtieri o Salvini?». Sansonetti delinea un quadro fatto di «giornalisti che comandano sui direttori, sugli editori e sugli altri giornalisti. Il giornalismo politico, ad esempio, ha accettato l’umiliazione e la subordinazione. Con i “giornalisti giudiziari” il giornalismo è morto, ha smesso di esistere perché non è più indipendente: è al servizio del partito dei pm». Un “partito” che, secondo Sansonetti, ha come obiettivo «il potere, anche se adesso è scosso da fratture e lacerato da divisioni interne». Un “partito” i cui leader Sansonetti indica in «Marco Travaglio, Nino Di Matteo, Nicola Gratteri e Piercamillo Davigo». Il «silenzio su questa vicenda – conclude Sansonetti – dimostra che Travaglio ha imposto la sua legge alla maggioranza degli altri giornali italiani. Del resto sono oltre dieci anni che lo inseguono».