“L’Ue è morta, Italia torni padrona del suo destino”: estratti in esclusiva del libro-intervista a Simone Di Stefano
Roma, 19 mag – Il prossimo 25 maggio uscirà nelle librerie di tutta Italia Una nazione (pp. 128, € 15), il libro-intervista di Valerio Benedetti a Simone Di Stefano, edito da Altaforte. L’opera è suddivisa in sette capitoli (1. Una vita per la politica, una vita per l’Italia, 2. Che cos’è il sovranismo?, 3. La globalizzazione ha fallito, 4. L’Unione europea è morta, 5. L’euro non è la nostra moneta, 6. Quando dici Italia dici il nome mio, 7. La cultura è l’arma più forte) ed è impreziosita da una prefazione dell’europarlamentare della Lega Antonio Maria Rinaldi. Il volume è già disponibile in prevendita (clicca QUI), ed è già stato ordinato da centinaia di lettori poco dopo il suo lancio. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo qui in esclusiva alcuni estratti dell’opera. [IPN]
Intervista a Simone Di Stefano
Che differenza c’è tra sovranismo e populismo?
Il sovranismo è una visione precisa di quali sono i compiti dello Stato all’interno del mondo reale. Questa visione si concretizza in un programma politico, proposte di legge, iniziative, azioni. Una visione della nazione che, nei suoi princìpi di base, deve rimanere sostanzialmente immutata. Il populismo, invece, è fare politica seguendo ciò che inconsciamente il popolo desidera. Ma così non si va da nessuna parte: il populismo rischia di essere fagocitato dai proprietari degli strumenti di informazione, perché sono loro alla fine che orientano le masse. Quindi, basta un’emergenza – come ad esempio questa della pandemia che stiamo vivendo – per orientare tutti quanti ad una visione anche estrema delle proprie libertà personali. Ci hanno convinto che dobbiamo stare sempre chiusi dentro casa, che l’esercito possa impedirci di circolare, che il governo abbia la facoltà di controllarci attraverso i droni e le celle telefoniche. Siamo addirittura arrivati a una situazione in cui alcuni cittadini si sono trasformati in delatori, denunciando quelli che portano troppo spesso a spasso il cane. E poi, una volta che tutti siamo stati reclusi all’interno delle nostre abitazioni, ci bombardano continuamente con telegiornali e programmi che dipingono l’operato del governo come infallibile e responsabile, descrivendo il presidente del Consiglio in carica [Conte nel momento in cui scriviamo, ndr] come un grande statista che ci salverà dalla pandemia.
Quindi il populismo sarebbe di fatto preda degli umori dell’elettorato?
Io penso proprio di sì. Basta vedere il comportamento tenuto in queste settimane dalle opposizioni, che non riescono ad andare contro il sentimento popolare di cosiddetta «unità» nell’emergenza, smorzando così la critica nei confronti del governo. Quindi, sulla base della pressione mediatica che sostiene acriticamente il governo e costruisce questo sentimento di «unità nell’emergenza», si sentono obbligati a dire «sì, sosteniamo il decreto del governo, si dovrebbe fare di più, è vero, tuttavia ci assumiamo la responsabilità». Ma queste iniziative il governo le ha sbagliate tutte, e soprattutto sta mettendo in campo delle gravissime limitazioni alla libertà personale. E tutto sta avvenendo mentre i media alimentano la paura per poi proporre Conte come l’unico uomo che può risolvere la situazione, una specie di «uomo della provvidenza», per citare Pio XI e Mussolini. Peccato che Conte non abbia asciugato nemmeno una pozzanghera, mentre Mussolini ha bonificato l’Agro Pontino ed edificato città, tanto per dirne un paio.
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In che cosa si distingue allora il sovranismo dal populismo?
Il sovranismo, diversamente dal populismo, ha la forza di affermare che «così la pensiamo oggi, e allo stesso modo la penseremo domani», indipendentemente da quello che i media mettono nella testa degli elettori. Saranno anche sepolte le ideologie, come dicono i globalisti, ma se non hai idee che guardino da qui a 5-10 anni, allora non sei un sovranista: sei solo un populista che segue il vento dei media. In questa fase, la priorità del sovranismo dev’essere quella di fissare delle idee. Offrire una visione chiara dello Stato e della nazione che vogliamo costruire. Far sì che questa visione si concretizzi in un programma di governo semplice, comprensibile a tutti gli italiani. Poche «idee forza», ma che siano punti cardinali assolutamente fermi, che consentano di tracciare una rotta. Mentre il populismo naviga a vista, alla ricerca del consenso, il sovranismo ha una direzione e un obiettivo preciso.
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Chi è il capo dei globalisti? Secondo alcuni, sarebbe George Soros…
Per me Soros e tutti gli altri sono agenti di un ben altro capo, che poi è sempre lo stesso: il capitale. Il capitale, infatti, ha vita propria. Come si diceva in Fight Club, «le cose che possiedi alla fine ti possiedono». Anche il capitale possiede i suoi proprietari, e lo stesso Soros vive e ragiona in funzione del suo capitale. Non ha vita propria, una finalità propria. Quello che lui vuole tutelare è solo il suo capitale. I capitali, a ben vedere, sono come i pianeti: quando aumentano di massa, aumentano anche la loro forza di attrazione. Quindi il capitale, aumentando di volume, finisce per attirare ulteriori capitali, diventando sempre più grande. Il capitale, infatti, è accentratore per natura. Si dice anche per le formiche e le api: il formicaio e l’alveare hanno una coscienza propria, che non è la semplice somma delle singole formiche e delle singole api. Allo stesso modo, Soros e gli altri globalisti sono tutti al servizio del capitale accumulato. Non c’è un capo vero e proprio, insomma. Poi, certo, ci sono alcuni agenti del capitale, o talune organizzazioni al servizio del capitale, che amano ammantarsi di connotazioni religiose o para-esoteriche (massoneria, ebraismo, etica protestante, la setta di Crowley ecc.), ma alla fine a questi interessa solo il denaro. Non hanno nulla di esoterico o religioso, non sono ebrei, non sono cristiani, non sono satanisti, non sono massoni. Sono solo avari. Avari ben organizzati e pronti a tutto per difendere il loro padrone: il capitale. E come giustamente diceva Ezra Pound, «riguardo all’USURA: ero fuori strada, scambiando il sintomo per la causa: la causa è l’avarizia».
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Quindi sono i tedeschi che hanno tratto maggiori benefici dall’euro?
La Germania ha una industria pesante fortissima e l’euro l’ha molto agevolata. Questo è indubbio, perché l’euro è di fatto un marco svalutato. Lo disse tempo fa anche Hans-Olaf Henkel, ex presidente della Confindustria tedesca: «Voi italiani ci battevate ovunque. Con l’euro, la musica è cambiata». Ma ripeto: non sono tutti i tedeschi che hanno approfittato di questa situazione, ma solo i grandi esportatori. Anche con un enorme surplus, infatti, il governo di Berlino non ha fatto investimenti apprezzabili. Questo però non gli ha impedito di finanziare l’economia privata con le sue banche pubbliche, aggirando i vincoli di Bruxelles. Insomma, i governanti tedeschi fanno i furbi, ma poi vogliono imporre l’austerità alle altre nazioni.
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Se anche programmassimo l’uscita dall’euro nei minimi dettagli, ce lo farebbero fare?
Ma questa è la domanda che si pone chi è stato rapito. Se ai sequestratori domandi «mi liberate?», è ovvio che la risposta sarà «no». Se invece tagli le corde che ti legano, sfondi la porta e te ne vai, molto probabilmente ti salvi, o comunque puoi affrontare a viso aperto i tuoi rapitori. Ma appunto, ripeto, qui non è questione se ce lo fanno o non ce lo fanno fare: è una questione di volontà politica. Un premier con un chiaro mandato elettorale e la necessaria forza parlamentare, può farlo tranquillamente e nel pieno rispetto del diritto, sia italiano che internazionale. A quel punto, emessa una nuova moneta a corso legale in Italia, che può fare la Bce? Che può fare l’Unione europea? Farci invadere dai carri armati che la Lagarde neanche ha? Gli italiani possono stare tranquilli: nessuno manderà mai un esercito per questioni finanziarie di questo genere.
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Quindi la Grande guerra è forse più importante per i frutti che ha prodotto dopo?
In un certo senso sì. Gli interventisti di allora (sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti, socialisti eretici ecc.) avevano tutti un disegno comune, che era poi quello di generare qualcosa di grande e di importante per il futuro. Un futuro che è puntualmente arrivato: a costruire l’Italia moderna, quella che conosciamo noi oggi, furono infatti coloro che erano tornati dalle trincee. Per questo dicevo prima che, finché quelle generazioni erano in vita, il senso dello Stato era forte. Ma poi, a partire dagli anni Settanta, si è un po’ perso il valore di quello che era stato costruito. Eppure, nonostante tutto, la prima guerra mondiale resta il momento fondativo dell’Italia moderna più di ogni altro, ed è lì che dobbiamo ritrovare una radice comune per tutti gli italiani. Quindi, piuttosto che festeggiare il 25 aprile, dovremmo festeggiare il 4 novembre, cioè la vittoria dell’Italia nella Grande guerra – quella guerra che, forgiandoci come popolo nelle trincee, ci ha fatto rinascere come nazione libera e potente, come nazione che non doveva più chinare il capo di fronte a nessuno.
Valerio Benedetti