Giuseppe Conte, la gola profonda di Palazzo Chigi a Senaldi: “Molte misure economiche scritte male appositamente, così non danno soldi a chi ha bisogno”
La gola profonda del Palazzo sceglie Libero per rompere il silenzio sulla gestione dell’ emergenza coronavirus da parte della maggioranza. Capo gabinetto dell’ esecutivo, da oltre due mesi in classifica con il suo libro-confessione Io sono il Potere, edito da Feltrinelli e scritto con la firma del quotidiano la Stampa Giuseppe Salvaggiulo, l’ uomo che governa chi ci governa fa un’ analisi spietata di quanto sta accadendo in Italia. Non emette giudizi politici, ma la sua illustrazione oggettiva di come Conte e soci si stanno muovendo lascia senza speranza.
Perché il premier Conte illustra i decreti della Presidenza del Consiglio sempre la sera tardi?
«La spiegazione ufficiale è la difficoltà di mettere insieme e far combaciare le valutazioni di ministeri, enti locali, scienziati, task force. C’ è poi un’ altra spiegazione, meno ufficiale ma non meno realistica. Io, però, non sono la persona adatta a illustrarla. Io, noi, non sacrificheremmo mai l’ istituzione alla comunicazione, la prassi all’ audience. Noi rifuggiamo i monologhi a reti unificate e le dirette facebook. Un capo di gabinetto che si rispetti non convocherebbe mai un consiglio dei ministri in prima serata. Vecchia, aurea regola: i consigli dei ministri o al mattino presto o la sera tardi».
Perché le disposizioni sono sempre così vaghe: sciatteria o confusione ricercata?
«Si tratta di un caso esemplare di eterogenesi dei fini. Quella che lei chiama vaghezza è in realtà l’ esito non voluto di uno sforzo titanico di disciplinare ogni microdettaglio. Il che produce la necessità di circolari del ministero dell’ Interno, che dovendo farsi carico dell’ applicazione delle norme, prova a sciogliere i dubbi generati dai dpcm della presidenza del Consiglio (e talvolta ne crea di ulteriori). Un paradosso degno della novella di Borges sul cartografo incaricato di disegnare una mappa dell’ impero che aveva l’ immensità dell’ impero e coincideva perfettamente con esso.
Sia chiaro: noi capi di gabinetto non siamo gli artefici, ma le vittime di questo modo di legiferare. Dal portinaio all’ autista, dalla segretaria alla cognata, tutti si sentono in diritto di sottoporre al signor capo di gabinetto le domande più disparate: dalla possibilità di recarsi dalla mamma fuori regione al motivo del divieto del cono gelato a differenza della coppetta, dalla possibilità di occupare i due sedili anteriori dell’ auto alla differenza tra passeggio ludico e motorio».
Perché Conte ricorre così tanto al dpcm, strumento che gli ha portato attacchi dai più importanti costituzionalisti italiani?
«Semplice: i dpcm non passano al vaglio della Ragioneria Generale dello Stato, della Presidenza della Repubblica e del Parlamento. Palazzo Chigi li emana in piena autonomia.
Quanto al vulnus costituzionale, un presidente emerito della Consulta disposto a darti ragione si trova sempre. Del resto, ormai sono così tanti…».
Ma il dpcm è legittimo secondo l’ uomo del potere?
«Il dpcm logora chi non ce l’ ha. Mai come in questo frangente, in pieno stato di eccezione, la legittimità recede rispetto all’ effettività. Chi ha il potere sceglie le carte e le distribuisce. Nella prima fase, il dpcm era lo strumento previsto per ragioni sanitarie e di protezione civile, poi si è progressivamente allargato a dismisura, perché si è scoperto che può far comodo per tutto».
La Costituzione viene evocata sempre non per difenderla ma perché funzionale a un fine politico: qual è quello dei costituzionalisti?
«Per taluni, ancora in rampa di lancio, farsi nominare da qualche parte (a proposito, i vertici delle Authority sono ancora in prorogatio). Per altri, non arrendersi al fatto che non sempre il giostraio concede un altro giro, un’ altra corsa. Il dibattito che producono è rispettabile, ma va relativizzato. I costituzionalisti sono mobili quali piume al vento. Oltre che reciprocamente gelosi e pertanto vendicativi.
Tanto più se costretti dal lockdown a rinunciare a conferenze e mondanità».
Con i dpcm di fatto Conte non ha escluso dal dibattito solo l’ opposizione ma anche la sua maggioranza: perché, non si fida?
«Conte non si fida più di nessuno, e fa bene. Galleggia aggrappato a una tavola di legno, circondato da squaletti. Ma più che dei partiti, dovrebbe preoccuparsi dei due stakeholders con cui ha avuto recenti motivi di frizione: la Chiesa e gli Stati Uniti. Errori come quelli compiuti sull’ interruzione delle celebrazioni liturgiche e sulla liberazione di Silvia Romano, o Aisha come preferisce farsi chiamare ora, possono costare cari».
Mi sta dicendo che ritiene che il governo abbia sbagliato su Silvia Romano?
«Vivere di comunicazione può rivelarsi pericoloso. Eppure le strutture della Farnesina, ancor prima che la cooperante liberata partisse da Mogadiscio senza essersi cambiata di abito, avevano avvertito dei rischi diplomatici di un ritorno in forma pubblica. Inevitabile che gli alleati ci rimproverino tre colpe: aver pagato il riscatto, averlo pagato ai loro nemici, non aver impedito che si sapesse».
Nel Palazzo quanti mesi di vita vengono dati al governo?
«Politicamente, non mi riguarda. Tecnicamente, il governo è un sopravvissuto tra i sopravvissuti. Era moribondo a gennaio, poi è arrivata la pandemia. Quando, con le nomine nelle aziende pubbliche, sembrava al capolinea, è giunta l’ emergenza economica. Ora sta in piedi perché non saprebbe da quale parte cadere.
Non c’ è alternativa, è questo il fattore C. Conte, intendo».
Diciotto commissioni di esperti: a che cosa servono?
«Ad accontentare famigli e questuanti, a mostrare al popolo che si fa sempre qualcosa, a confondere le responsabilità, a verniciare i poteri speciali con una legittimazione (talvolta presunta) di carattere tecnico, professionale o scientifico».
Con che criterio vengono scelti i commissari, visto che alla politica pare interessi solo quello di genere sessuale?
«Il metodo è quello delle corti medievali: vassalli, nobili, cavalieri e dame di compagnia. I criteri sono mutevoli a parte uno: che non facciano ombra al signore. Quanto alle donne, erroneamente ma non sorprendentemente escluse nella fase iniziale, pare che il presidente del Consiglio le abbia nominate proprio quando i componenti della task force lamentavano di essere troppi e con scarsi poteri. Ma chi avrebbe mai potuto protestare contro il riequilibrio di genere?».
Inizialmente si pensava che Colao commissariasse il governo, oggi sembra invece il parafulmine del premier: come è potuta accadere questa trasformazione?
«Diventare un parafulmine della politica e poi essere impietosamente commissariati è il destino di tutti i commissari di questa stagione. A Palazzo Chigi non hanno fatto molta fatica a esautorare Colao, se non altro per il fatto che ha pensato di gestire una catastrofe secolare in collegamento wifi da Londra».
Il Covid-19 ha ridimensionato la centralità del Parlamento. Cosa ne pensa il presidente della Repubblica, esimio giurista?
«Il presidente della Repubblica osserva con comprensibile apprensione. È un galantuomo, a ragione tutti gli italiani ripongono indistintamente la loro fiducia in lui. Ha improntato il suo mandato a una linea scrupolosamente non interventista. Alla quale si atterrà, se non costretto dagli eventi».
Perché Draghi non è disponibile ad aiutare l’ Italia: non si fida del Parlamento o punta ad altro?
«Benché sollecitato soprattutto da ambienti non romani, ritengo che comprensibilmente voglia evitare di fare la fine di Monti. Ma ogni valutazione è prematura, anche se a Roma c’ è già una vivace campagna di riposizionamento in corso».
Perché il governo ha dichiarato lo stato d’ emergenza sanitario a fine gennaio e non ha fatto nulla per un mese?
«Le prime informazioni sanitarie erano molto confuse. Il comitato tecnico-scientifico, pur assai litigioso al suo interno, aveva rassicurato sulla possibilità di scongiurare l’ epidemia con poche misure prudenziali, purtroppo rivelatesi insufficienti. Un errore non solo italiano».
Chi comanda davvero nel Paese oggi?
«Chi ha sempre comandato. I capi di gabinetto, che sono il tessuto del potere. Le cene romane (e non solo tra congiunti, le assicuro) sono continuate anche nel lockdown, a dispetto dei divieti draconiani e delle supermulte. All’ inizio, per il terrore del contagio, per le comunicazioni riservate erano state create apposite chat. Ma presto si è tornati al riavvicinamento fisico, almeno in quell’ angolo di mondo che va da via XX settembre al lungotevere dei Tebaldi. In palazzi insolitamente deserti o all’ ombra dei pini di Villa Borghese, quando ha riaperto».
Perché sono stati promessi 400 miliardi di aiuti alla popolazione che il governo non aveva?
«Molte delle misure economiche che funzionano male sono state scritte proprio con questo obiettivo. Ovvero non spendere, o spendere meno, soldi che era necessario promettere anche se in realtà non si possono erogare perché non ci sono. Un gioco da ragazzi, per un gabinettista».
Perché gli aiuti non sono partiti o lo hanno fatto in ritardo?
«Perché l’ amministrazione pubblica paga vent’ anni di dequalificazione. Di fronte a un’ emergenza, svela le sue fragilità. Come un anziano con pregresse patologie, difficile dire se si è ammalato con o per coronavirus».
Si parla della necessità di sburocratizzare il Paese: con il Covid sarà la volta buona?
«Se ci provano i politici, sarà fatica sprecata. Solo i più raffinati burocrati sarebbero in grado di sburocratizzare la burocrazia».
C’ è qualcuno oggi nel governo che difende gli imprenditori e gli autonomi?
«Tutti chiedono tutto. Tutti ottengono qualcosa. E tutti si lamentano. Quando un governo non ha una strategia chiara, né la forza di scegliere poche cose e farle bene, non resta che ricorrere, come spiego nel libro, a un decreto salsicciotto. Misure necessarie o utili, bonus fiscali per categorie da tutelare, norme particolaristiche, regimi di favore per lobby, marchette a pioggia. Tutto in un decreto omnibus. Proprio come quello battezzato Aprile, benché approvato a maggio inoltrato».
Già, si chiamava aprile…
«Il ritardo non deve sorprendere né scandalizzare. Si tratta di una simil-finanziaria. E in genere la finanziaria ha quattro mesi di gestazione. Quindi due mesi sono un tempo ragionevole. Un decreto omnibus fai presto a cominciarlo, ma è difficilissimo chiuderlo. Tutti vogliono salire sul treno in corsa, alla fine non resta che una riunione fiume del preconsiglio, in cui tutti i capi degli uffici legislativi limano il testo. Quella per l’ ultimo decreto è stata spalmata in due giorni, con alcuni partecipanti collegati da remoto, il che ha accresciuto tensioni, bizzarrie ed equivoci. E naturalmente non è finita, perché il decreto – magia della formula salvo intese – viene ancora modificato in queste ore. Poi sarà esaminato dal Quirinale e infine dovrà andare in Parlamento. Prevedo miliardi di emendamenti».
Oggi inizia sul serio la fase 2: quanto siamo pronti?
«Siamo italianamente pronti».