Quando la burocrazia uccide più di una polmonite
Di burocrazia si muore. Abbiamo troppe leggi, troppi enti e procedimenti troppo lenti e complessi. Troppi Dpcm, Dl, ordinanze, regolamenti circolari e direttive, spesso stratificati e sovrapposti. Abbiamo troppi interventi di governo, singoli ministri, task force, istituto superiore di sanità, protezione civile, regioni, comuni, spesso non coordinati fra loro.
Norme assurde, vessatorie, contraddittorie e difficilmente applicabili. Abbiamo procedure troppo complicate: come quelle per produrre mascherine o per chiedere bonus e sussidi. Sigle come Cie, Spid, firma digitale, Pec ci fanno letteralmente impazzire.
Il governo avrebbe dovuto garantire la cassa integrazione a quei lavoratori colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia da coronavirus. Sono a migliaia e non sanno come fare a coprire le spese. Ancora non è arrivata. Il Covid-19 ha colpito duro. È marzo quando si chiude tutto. Tre mesi fa. In quelle settimane si moltiplicano i casi di infezione. La polmonite interstiziale miete vittime. Il governo, con un primo decreto, blinda il Paese. “Saremo vicini agli italiani”, commentano il premier Giuseppe Conte e il suo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Ma l’Italia deve far fronte a un altro male.
Non è nuovo. Il ceppo lo si conosce bene. È una malattia nota al Belpaese: la burocrazia. In migliaia chiedono aiuti di Stato. Solo le partite Iva che aspettano il bonus da 600 euro (sbandierato come panacea di tutti i mali) sono circa 5 milioni. L’Inps che è stata incaricata di prendersi cura degli imprenditori va in tilt. O meglio, è il suo portale web ad andare in crash. Secondo il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, il caos sul sito dell’istituto di previdenza, con tanto di violazione dei dati personali, sarebbe dovuto a un “attacco hacker violento”. Questo aspetto non verrà mai chiarito del tutto.
Mentre il mondo occidentale scopre la furia del virus, molti Paese si comportano meglio dell’Italia. Negli Stati Uniti, il presidente, Donald Trump, invia assegni direttamente a casa delle famiglie colpite dalla crisi. Miliardi di dollari cash. Nella più vicina Germania il programma di aiuti permette di richiedere fino a 5mila euro per i lavoratori autonomi e le Pmi fino a 5 dipendenti a tempo pieno. Tutto viene accreditato sul conto corrente in 48 ore. Ma a questo bonus si affianca il fondo federale (nazionale) che aggiunge altri potenziali 9mila euro, per un totale di 14mila. Per le imprese tra 5 e 10 dipendenti, il conto sale direttamente a 15mila euro di fondi federali. Sono altri 50 miliardi in gioco. Soldi a fondo perduto.
In Italia le cose si complicano fino a raggiungere l’imponderabile: attendere oltre due mesi per un decreto che cambia nome come cambia il vento. Aprile, Maggio, Rilancio. Il succo è sempre lo stesso: il governo non sa dove mettere le mani. “È il regno dell’incompetenza”, dice Mauro, giovane consulente del lavoro: “Per poter gestire una situazione emergenziale è necessario fin da subito una semplificazione e un’accelerazione delle procedure di approvazione delle richieste, prevedendo la formula del silenzio assenso. Il governo dovrebbe ascoltare e sfruttare le capacità e le competenze dei liberi professionisti. Mantenere nell’emergenza una macchina così farraginosa vuol dire mettere in ginocchio migliaia di aziende”.
La burocrazia uccide
Marica è una piccola imprenditrice. La contatti ed è subito amicizia. Ti invia il resoconto della giornata. Non sono i suoi prodotti a tenere banco, ma la conta dei morti per suicidio. Sono quegli imprenditori che si sono tolti la vita per le conseguenze economiche del coronavirus. Questo è il suo messaggio: “Mi duole inviarti quanto accaduto nelle ultime ore nel nord Italia. È una questione che ci accomuna tutti”. È la notizia di due morti. Gli ultimi di una lunga serie. Nell’ultimo mese sono decine che l’hanno fatta finita. Nei giorni scorsi due tristi eventi hanno segnato il cremasco. Lunedì in un paese a ovest di Crema un uomo di 75 anni è stato trovato impiccato nel suo appartamento. Inutili i soccorsi. L’uomo aveva problemi di salute e non ce l’ha fatta a tirare avanti, preferendo chiudere con un gesto tragico la sua esistenza.
Mercoledì in un paese a nord est di Crema un industriale di 58 anni ha deciso di chiudere la sua esistenza con un colpo di pistola alla testa. Il rumore del colpo d’arma da fuoco ha allarmato i vicini che hanno chiamato i soccorsi. Purtroppo per l’uomo non c’è stato nulla da fare. Sembra che l’industriale avesse problemi di depressione, acuiti da un momento non certo florido per il suo lavoro. I casi drammatici sono molti. Lo abbiamo scritto su queste pagine nei giorni scorsi. Le storie sono tutte simili. Sono racconti di persone che hanno dato la vita (letteralmente) per il proprio lavoro. Sono lavoratori autonomi a partita Iva. Piccoli imprenditori che non ce l’hanno fatta. Si stima che dalla crisi economica in corso circa il 40% delle attività commerciali non riaprirà. Quando va bene i proprietari dei negozi trovano un altro lavoro. Molto spesso, soli e depressi, magari con problemi gravi in famiglia, superano l’oscura soglia della follia. E si ammazzano.
Burocrazia e l’ombra dell’usura
La pandemia ha contribuito a diffondere anche un altro virus: l’usura. Il racket delle estorsioni e dei prestiti a tassi folli è un fenomeno criminale presente soprattutto in alcune zone ad alta densità mafiosa. Garantisce introiti sicuri. Il fenomeno è sempre più esteso, sfaccettato e radicato. Non mira a entrare solo nelle piccole società, nei negozi e nei cantieri, ma anche nelle famiglie e nella vita personale dei singoli individui. La fase di lockdown ha moltiplicato il ricorso degli imprenditori agli strozzini.
Domanda e offerta si incontrano in vari modi. I protagonisti non sono solo gli esattori dei clan, ma ci sono anche piccoli malviventi che a volte mantengono, a volte millantano contatti con la grande criminalità organizzata. A infilare la testa nel cappio dei cravattari non ci sono solo commercianti e piccoli artigiani, ma anche impiegati, commessi, operai, rappresentanti, madri di famiglia. Bussano alla porta di questi taglieggiatori come ci si presenta allo sportello di una finanziaria, di una banca, sapendo però di non poter mettere sul piatto garanzie concrete ma comunque decisi a firmare cambiali senza una data di scadenza. In ballo non ci sono solo grosse cifre, ma anche piccoli prestiti che vanno dai 200 ai mille euro. È comunque un salto nel buio.
La pandemia ha modificato gli scenari economici dei territori. È anche per questo che molti governatori di regione, soprattutto al sud, chiedono di riaprire. In testa Jole Santelli, presidente della Calabria. Lì il fenomeno rischia di esplodere. L’usura, nel mese di marzo (inizio serrata) ha registrato un +9,1%, secondo i dati diffusi dal Viminale. La lettura è semplice: il governo non aiuta le piccole e medie imprese, le banche non fanno prestiti e gli imprenditori sono costretti a mettersi nelle mani di questi ricattatori. Un quadro buio, tetro. Ma è la realtà. Le conseguenze concrete della burocrazia.
Il potere del burocrate
“Vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione”. Sembrano parole pronunciate la scorsa settimana da uno qualsiasi dei nostri politici. Invece sono tratte dall’Appello agli uomini liberi e forti di don Lugi Sturzo. È l’anno 1919. Nel nostro Paese il male oscuro è proprio questo.
In tre mesi sono state generate più di mille pagine di decreti legge, Decreti del Presidente del consiglio dei ministri, decreti ministeriali, ordinanze della protezione civile, in un corto circuito di norme, rimandi, modifiche a decreti precedenti. Un caos estremo. Quattro modelli diversi di autocertificazione sono usciti in neanche 20 giorni. Novelli azzeccagarbugli hanno provato a comprendere quali attività devono essere chiuse e quali autorizzate ad aprire. Quanti i metri possibili per allontanarsi dalla propria abitazione e qual è il vero significato della parola “congiunti”. Con regioni, governatori, sindaci e novelli sceriffi che emettono ordinanze come coriandoli a carnevale.
Un’orgia di testi, richiami, premesse e modelli, comparsate in televisione e sui social a canali unificati. L’emanazione di norme, procedure capziose e spesso cervellotiche serve non tanto a garantire maggiore funzionalità a un’organizzazione, ma a rendere indispensabile ciò che indispensabile non è: chi ha generato queste regole e ha il compito di gestirle. Chiamateli burocrati. Chiamatelo esercizio del potere. Quel potere pubblico, statale, che frena il mercato. La libera impresa. Anzi, la uccide. Come è accaduto in queste oscure settimane di metà maggio. A pandemia ormai inoltrata.
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