“Ad aprile il 30% degli italiani era già stato contagiato. Il virus in giro da ottobre”. Il nuovo studio da Brescia
Brescia, 13 mag – Nella città di Brescia a marzo il 49% delle persone sottoposte al test sierologico aveva sviluppato gli anticorpi per combattere l’infezione. Nell’80% dei casi si trattava delle immunoglobuline G, quindi la malattia era insorta mesi prima. Sono questi i risultati di uno studio bresciano condotto dal medico Pasquale Mario Bacco e dalla sua equipe. Risultati che vanno ad unirsi al coro delle voci controcorrente rispetto alla narrazione mainstream delle «star della virologia» che popolano i nostri studi televisivi.
Lo studio, effettuato sottoponendo un campione di 7.038 persone ai test sierologici, ha rivelato che il virus Sars-Cov-2 in Italia era già presente dallo scorso ottobre. Inoltre, secondo il team del dottor Bacco il coronavirus è sensibile alle temperature ed è probabile che sia destinato a scomparire (o acquietarsi) con il caldo, per poi fare il proprio ritorno con l’abbassamento delle temperature. Non solo: il suo grado di mutevolezza renderà praticamente impossibile lo sviluppo di un vaccino efficace.
Quasi la metà positivi agli anticorpi già da marzo
Bacco spiega il contenuto dello studio a Bresciatoday: «A partire dal 3 febbraio abbiamo visitato 7038 persone sane e senza sintomi, tutti dipendenti di diverse aziende. Abbiamo diviso la ricerca in quattro diversi step: il primo gruppo, [testato fino a inizio aprile], comprendeva circa 1730 persone e ci dava già numeri interessanti, perché il 38% era già positivo agli anticorpi. I numeri più alti erano quelli della provincia di Brescia: il 49% del campione che si era sottoposto al test sierologico risultava positivo (a Milano il 46%, a Bergamo il 48%)», spiega. «Non solo: abbiamo scoperto che gli anticorpi non erano solo immunoglobuline M, quelle precoci che fanno capire se il contagio è in atto, ma nel 80% dei casi si trattava di immunoglobuline G, cioè anticorpi consolidati», prosegue il medico. «Il che dimostrava che la malattia era stata già stata affrontata e superata. Alla luce di questi risultati bisognava fare quindi un salto indietro di 3 mesi e abbiamo capito che l’inizio del contagio risaliva ai primi di ottobre». Altro, insomma, che paziente 1 di Codogno. In totale, alla fine dei 4 step la percentuale di popolazione su tutto il territorio italiano risultata positiva agli anticorpi era del 30%.
Il solito ostracismo di Burioni
I dati, impressionanti e sicuramente degni di considerazione, erano stati presentati dall’Equipe di Bacco a metà marzo «all’Istituto Superiore della Sanità e al Ministero della Salute, mettendo a disposizione i numeri: era un periodo di grande confusione e stavano nascendo le unità di crisi». E con chi sono stati messi in contatto i medici bresciani? Ma con il «venerabile» Burioni, ovviamente, «a cui abbiamo presentato i nostri risultati e le anamnesi, concentrandoci soprattutto sulla situazione del Bresciano. Dei 400 pazienti di Brescia ben 199 erano risultati positivi. Un campione molto rilevante, quindi». Con i risultati della ricerca, Burioni ci si pulisce le terga. Illuminante infatti la sua risposta: «Lui ci risposto che l’incidenza del virus nel Bresciano era del 2% e che quindi ci sbagliavamo. Quando poi abbiamo chiesto da dove venisse quella percentuale, ci ha detto ‘perché è così e noi lo sappiamo’». Molto scientifico, non c’è che dire.
Le polmoniti anomale erano Covid-19?
A questo punto viene spontaneo chiedersi: perché nessuno si è accorto del virus, se questo era in circolazione da mesi prima? In realtà, sospetti di un’anomalia avevano iniziato a circolare in quei mesi, ma gli elementi in possesso dei dottori erano limitati e frammentari: «Ad ottobre abbiamo iniziato a parlare con i medici della Toscana, del Piemonte, del Veneto e della Lombardia e tutti ci hanno manifestato questa incredibile incidenza di polmoniti anomale. Sono state attribuite, in buona fede, alla legionella: in realtà erano tutto tranne che legionella», spiega Bacco. Che lancia la sua ipotesi: «Secondo noi erano i primi casi di Sars-Cov-2», la cui virulenza era ancora contenuta.
Coronavirus e caldo
«Quando il virus è atterrato era un po’ ‘stanco’. Ha preso forza a febbraio perché ha trovato le condizioni ideali: un clima freddo e umido. Con l’innalzarsi delle temperature, soprattutto al Sud, è completamente morto mentre al Nord continua a essere piuttosto attivo». Tutti i coronavirus si comportano allo stesso modo: «soffrono il caldo». La conferma è arrivata a a marzo, «quando abbiamo iniziato a portare colture del Sars-Cov-2 in laboratorio: innalzando la temperatura di 2 gradi abbiamo visto che la metà dei ceppi morivano mentre l’altra metà si immobilizzavano. Che il virus soffrisse il caldo si poteva vedere con un semplice kit da 8 euro, mentre trai virologi blasonati c’è ancora chi dubita di questo».
Un virus «stupido»
Lo studio tocca anche il nodo del tasso di mortalità: «Questo virus è banale, stupido: da solo non è capace di ammazzare nessuno. Tanto è vero che stando alla nostra ricerca è emerso che quasi il 90% degli infetti non ha manifestato nessuno dei sintomi riconducibili al Covid-19, primo tra tutti l’aumento della temperatura corporea». Sono state quindi le persone sotto ai 30 anni a diffondere l’infezione: «quasi sempre completamente asintomatici, hanno infettato ed amplificato il resto della diffusione. La mortalità diretta da Covid non è superiore all’2%». E se non si tiene in considerazione «la fascia d’età superiore a 55 anni, l’incidenza scende al di sotto dell’1%». Il coronavirus, conclude Bacco, aggredisce con violenza chi ha «una risposta immunitaria più lenta. La forza del virus dipende dallo stato di salute, ma anche dalle abitudini di chi lo riceve: malnutrizione, patologie pregresse, cattive abitudini e sistemi immunitari indeboliti lo rendono particolarmente aggressivo».
Se è così, come si spiegano quindi le migliaia e migliaia di morti, soprattutto in Lombardia? «All’inizio nessuno sapeva come trattare questo virus e si è agito male. Adesso sappiamo che dobbiamo portare in ospedale i pazienti molto prima che entrino in sofferenza respiratoria, perché questa fase della malattia per molti over 65 è irreversibile. A ottobre, quando si ripresenterà, sapremo curarlo». Bacco butta acqua sul fuoco riguardo la speranza di trovare un vaccino: «Non ci sarà mai un vaccino, come per l’Hiv, perché il virus si modifica molto molto velocemente – conclude – Quindi se venisse trovato un vaccino adesso, e tutti corressero a vaccinarsi, in autunno potrebbe non essere più valido».
Cristina Gauri