Ora Silvia Romano accusa la Onlus: “Mi hanno mandata allo sbaraglio nella savana”
Milano, 12 mag – «Mi hanno mandata allo sbaraglio». Ora Silvia Romano punta il dito contro la Africa Milele, la Onlus marchigiana che l’aveva spedita in Kenya; la cooperante milanese, sequestrata nel 2018 da un commando di terroristi islamici e liberata tre giorni fa in Somalia ha riferito ai magistrati di essere stata lasciata sola, abbandonata a se stessa, l’unica europea e senza scorta e collaboratori in un avamposto nella savana.
E ora i genitori vogliono giustizia per i 543 giorni strappati alla vita della propria figlia, quella ragazza con gli occhi spaventati e quel sorriso forzato che, scesa dall’aereo, cercava di rassicurare l’Italia dicendo che «andava tutto bene». La famiglia Romano aveva già rotto i ponti con Lilian Sora, la responsabile dell’onlus Africa Milele, che aveva ingaggiato la loro figlia: ma ora è intenzionata ad andare fino in fondo. A capire se quel rapimento si sarebbe potuto evitare, e in che modo. Secondo quanto riferito dal Corriere la Procura di Roma avrebbe intenzione di riaprire il dossier compilato dalla Farnesina e i controlli effettuati dall’Unità di crisi subito dopo il sequestro della Romano.
«Questa vicenda per noi ha voluto dire molto», ha spiegato Lilian Sora al Corriere. Sora, marchigiana, nel 2009 si era recata in Kenya in viaggio di nozze ed era rimasta folgorata dalla drammatica situazione di povertà; da qui la decisione di fondare una Onlus. Che dal 2018, anno dei rapimento, versa in cattive acque. «I nostri beneficiari ne hanno risentito e, a gennaio, abbiamo dovuto lasciare a casa i bambini che sostenevano la scuola. I fondi non bastavano più». Lilian respinge al mittente le accuse di «menefreghismo» nei confronti della situazione di Silvia Romano: «Nel tempo in cui Silvia è stata rapita, non ho mai smesso d’indagare». E poi spiega: «Era controllata», e rivela il sospetto secondo il quale «alcuni componenti del commando abbiano dormito vicino alla nostra casa, prima del rapimento». E continua a difendersi così: «Silvia non è stata mandata da sola a Chakama. È partita con due volontari e ad aspettarli c’era il mio compagno con un altro addetto alla sicurezza, entrambi masai». Gli uomini «dovevano rientrare a Malindi il 19 novembre e Silvia doveva andare con loro», ma ci fu un non ben precisato «intoppo», e la ragazza rimase sola a Chakama. Fino al 20, la data del sequestro: «Qualcuno la spiava» e sapeva quando attivarsi per il rapimento. Una volta a casa, Silvia non ha telefonato e Lilian: «Aspetto di poterle dire quanto sono felice».
Cristina Gauri