Silvia Romano: “Mi sono convertita all’Islam senza alcuna costrizione”. Il dubbio delle fonti di intelligence
Sì, Silvia Romano si sarebbe davvero convertita alla religione islamica durante la sua lunga prigionia in Somalia nelle mani del gruppo terrorista di Al Shabab. E’ quanto apprende l’Adnkronos da fonti di Intelligence, anche straniere. Nei mesi scorsi si erano già diffuse indiscrezioni, sempre smentite dagli 007 italiani, sul fatto che la giovane italiana avrebbe sposato uno dei suoi carcerieri con un rito di religione islamica, e non si esclude che la conversione sia dovuta alle pressioni dei rapitori e alle difficili condizioni fisiche e psicologiche vissute dalla cooperante nei 15 mesi di prigionia nei quali è stata ostaggio dei jihadisti”. Secondo il sito Open, invece, la Romano avrebbe detto testualmente: “E’ stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizione da parte dei rapitori che mi hanno trattato sempre con umanità. Non è vero invece che sono stata costretta a sposarmi, non ho avuto costrizioni fisiche né violenze”.
Fonti somale contattate dall’Adnkronos confermano poi la conversione della volontaria, riferendo che potrebbe essere questa la ragione della “prudenza” usata dalla giovane nel rispondere alle domande degli investigatori locali al momento della liberazione. Silvia Romano, che era vestita all’islamica quando è stata prelevata sulla strada Afgoye-Mogadiscio dagli 007 somali e turchi, a quanto spiegano le stesse fonti, sarebbe stata infatti molto cauta, non fornendo indicazioni utili sui suoi sequestratori, secondo quanto riferito dalle fonti di Mogadiscio.
Tutte circostanze ovviamente da prendere con la dovuta cautela e che dovranno trovare riscontro nell’interrogatorio della ragazza da parte dei pm romani. Anche perché sarebbe più che plausibile, da un lato, una riservatezza con i somali dovuta alla naturale paura provata nei concitati momenti della liberazione e al desiderio di parlare direttamente con gli investigatori italiani, dall’altro che la stessa conversione possa trovare ragione nell’interesse della cooperante a non far indispettire i suoi sequestratori in vista di un possibile rilascio.